Recensione
American Skin: un film necessario
Con la sua seconda pellicola da regista, Nate Parker torna a raccontarci il razzismo contro le persone di colore in America. Stavolta lo fa trattando una vicenda attuale, ambientata ai giorni nostri, realizzando un film semplice, intimo, terribilmente efficace.
Lincoln Jefferson (lo stesso Parker, nel film) ha perso il figlio quattordicenne durante un normale controllo di polizia andato male. A seguito di un processo sbrigativo, nonostante il ragazzo fosse disarmato, il poliziotto che ha sparato rimane impunito. Diversi anni più tardi, Lincoln, seguito da una troupe televisiva che vuole realizzare un documentario sulla sua storia, decide di sequestrare l’intero distretto di polizia, a telecamere accese, per organizzare il suo personale processo all’agente colpevole e ottenere finalmente giustizia.
American Skin: mokumentary semplice ed efficace
Nate Parker realizza un mokumentary credibile al punto che ci si chiede se quella a cui si sta assistendo non sia una storia vera. Tutta la vicenda viene inquadrata dalle telecamere della finta troupe. Raramente, vediamo anche degli spezzoni di telegiornale, o le registrazioni di una chat, o le riprese delle telecamere a circuito chiuso, a coprire i passaggi durante i quali la troupe non poteva realisticamente aver effettuato le riprese.
Tecnicamente, è davvero ben fatto. Nonostante il montaggio e la qualità delle riprese siano condizionati al mantenimento dell’illusione di star guardando un vero documentario, tutti gli avvenimenti sono sempre descritti in maniera semplice e comprensibile. Rimane sempre chiaro per lo spettatore cosa stia accadendo, non ci si perde mai all’interno dei voyeurismi tecnici.
Gli attori sono bravissimi nei loro ruoli. La sceneggiatura è perfetta, mette in bocca ad ogni personaggio le parole giuste che, in una situazione reale, avrebbe credibilmente detto. Ognuno ha il suo buon arco narrativo. Non si ha mai l’impressione di star guardando attori che recitano in un lavoro di fiction, ma sembra di assistere alla vita di persone reali, riprese da telecamere vere.
American Skin: guerra tra poveri
Nonostante racconti di un sequestro armato, Nate Parker non è interessato a girare un film d’azione. Il cuore della pellicola è il resoconto del processo improvvisato al giovane poliziotto assassino, dove alcuni civili, che si trovavano alla stazione per caso, assieme ad alcuni criminali tirati fuori dalla guardina, devono fare da giuria.
Questa pellicola ha il grande pregio di non voler salire in cattedra per pontificare. Non c’è nessuna divisione in “buoni e cattivi“, in “vittime e carnefici“. L’unico villain della pellicola sono i pregiudizi: se due poliziotti americani devono fare un controllo, di notte, a una macchina con due persone di colore a bordo, rischieranno senz’altro la vita. Meglio sparare per primi, se si vuole riportare a casa la pelle.
Tutti i personaggi sono vittime di un sistema che li infila nello stesso tritacarne. Questo vale sia per il protagonista di colore, sia per il poliziotto bianco che ha premuto il grilletto, sia per coloro che sono chiamati, loro malgrado, a giudicare entrambi.
Durante il processo, il film sembra prendere spunto da “La parola ai giurati” di Sidney Lumet. Tutti i presenti hanno diritto di parola. Tutti espongono il loro punto di vista. Tutti hanno le loro motivazioni, tutti sono vittime della stessa tragedia. “Io volevo soltanto tornare a casa” confessa il giovane poliziotto, tra le lacrime, al padre del bambino che ha ucciso. Lincoln risponde: “Anche noi“.
American Skin: un duro pugno allo stomaco che vale la pena di incassare
Era tempo che non si vedeva un film di denuncia così efficace. Un film che non invita alla rabbia o alla rivoluzione armata, ma alla riflessione e al dialogo fra le parti.
Colpisce lo spettatore. Lo fa senza mezze misure, mettendo a nudo il marcio di un sistema sociale che genera una guerra tra poveri, dove il sangue scorre copioso da entrambe le parti.
Un film che emoziona profondamente, dalla visione del quale non si può uscire indenni. Un duro pugno allo stomaco che vale la pena di incassare.
Nicola De Santis
Trama
- Titolo originale: American Skin
- Regia: Nate Parker
- Cast: Nate Parker, Omari Hardwick, Theo Rossi, Beau Knapp, Allius Barnes, Dominic Bogart, Serene Branson, Markina Brown, James C. Burns Drammatico
- Genere: Drammatico, colore
- Durata: 89 minuti
- Produzione: USA, 2019
- Distribuzione: n/d
- Data di uscita: 31 agosto 2019 (Biennale di Venezia), 30 aprile 2020 al cinema
Il secondo film da regista di Nate Parker (“The Birth of a Nation – Il risveglio di un popolo“), presentato alla 76ª edizione della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, nella sezione “Sconfini”.
American Skin: lotta per la giustizia
“American Skin” è incentrato sulla storia di un uomo che, vedendosi privato di un processo equo, a seguito della morte di suo figlio adolescente per mano di un poliziotto bianco, decide di farsi giustizia da solo. Usando le sue conoscenze come veterano di guerra, decide di sequestrare l’intero dipartimento di polizia e organizzare lui stesso un processo per ottenere finalmente giustizia.
Il film segue le orme di “La parola ai giurati” e “Quel pomeriggio di un giorno da cani”.
L’uscita nelle sale di “American Skin” è prevista per il 2020, ma la pellicola verrà presentata in anteprima alla 76° edizione della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. Fin dall’annuncio della presenza dell’opera alla kermesse è stata sollevata una polemica per via dello scandalo mediatico che ha coinvolto il regista, autore e interprete della pellicola. Nate Parker aveva infatti subito un processo a seguito di un’accusa di stupro nel 1999, quando si trovava al college. All’epoca il processo durò due anni e il regista venne dichiarato innocente, ma l’episodio ebbe e ha tuttora ripercussioni sulla sua vita privata e sulla sua carriera, come ha già dimostrato l’uscita del suo precedente film, “The Birth of a Nation”, presentato alla Festa del cinema di Roma nel 2016.
Spike Lee ha dichiarato, a proposito del film: “Mio fratello, Nate Parker, ha ideato un tour de force coraggioso. Non ero rimasto così colpito da un film come questo da tanto, tanto tempo.”