Neri Parenti omaggia, con quello che definisce un gesto d’amore, “Amici miei” e la città di Firenze, con una pellicola della quale si sarebbe volentieri fatto a meno
Regia: Neri Parenti – Cast: Christian De Sica, Michele Placido, Giorgio Panariello, Massimo Ghini, Paolo Hendel, Massimo Ceccherini – Genere: Commedia, colore, 100 minuti – Produzione: Italia, 2011 – Distribuzione: Filmauro – Data di uscita: 16 marzo 2011.
Neri Parenti ha realizzato un sogno che custodiva in un cassetto da più di vent’anni, tanta è stata la gestazione di questo ultimo capitolo della saga di “Amici miei”, ideato a suo tempo dagli stessi sceneggiatori che hanno scritto gli altri episodi, con i ruoli pensati per i protagonisti di allora.
Il racconto è ambientato nella Firenze di fine Quattrocento, quella di Lorenzo il Magnifico e del Savonarola, con tanto di riprese, dove possibile, nel centro storico del capoluogo toscano, ricorrendo poi ad un’ampia riproduzione di vicoletti e botteghe rinascimentali a Cinecittà, per l’occasione tornata agli antichi fasti.
Ma per quanto il regista si sia impegnato, e la Filmauro di De Laurentiis si sia prodigata nel realizzare set e costumi senza economia, la pellicola non funziona. Non funziona perché certe atmosfere sono irripetibili, non funziona perché ”Amici miei” di Monicelli aveva in sé un misto di dramma e ironia molto difficili da riprodurre, non funziona perché il confronto tra i due cast è a dir poco irriverente. Il cerusico Hendel, per quanto susciti più degli altri personaggi un’immediata simpatia, è ben lontano dall’Adolfo Celi, medico e bischero sopraffino. Non parliamo poi del personaggio del nobile decaduto interpretato da Ghini, che poco ha a che vedere con l’intensa profondità del ruolo ricoperto da Tognazzi.
Ma anche volendo tralasciare gli inevitabili e impietosi confronti, facendo finta per un attimo che il film sia un prodotto a sé stante, beh… non funziona ugualmente. È un susseguirsi patinato di burle, bischerate, zingarate, come amano definirle i realizzatori, tanti siparietti che non divertono: lo sbadiglio è sempre in agguato, i cento minuti della pellicola sembrano non voler finire mai.
Tecnicamente la pellicola è ben fatta, le scenografie deliziose, e i costumi pure; è un piccolo tuffo immaginario nella Firenze medicea, e a De Laurentiis va attribuito il merito, in tempi di magra, d’aver dato lavoro a tante maestranze italiane, ma ciò non può bastare per far apprezzare un lavoro piatto come questo. Il ritmo comico qui latita completamente, le immagini scorrono veloci sullo schermo quasi apaticamente.
Se il proprio sogno è realizzare un determinato film, bisogna attivarsi allo scopo solo se si ha la possibilità di proporre una storia che in qualche modo possa soddisfare il pubblico, altrimenti risulta un’attività sterile finalizzata al soddisfacimento di un’esigenza personale.
Maria Grazia Bosu