Angelina Jolie torna al Festival di Torino con “Senza sangue” , un’opera che affronta temi di violenza e vendetta attraverso un linguaggio cinematografico sobrio e contemplativo. Presentato fuori concorso, il film segna un ulteriore passo nella carriera della regista, che con questo progetto desidera approfondire la complessità dei conflitti umani. La sua scelta di adattare il romanzo di Alessandro Baricco richiede una riflessione profonda sui concetti di guerra e perdita, cercando di mantenere l’autenticità del messaggio originale.
Un’appassionante sfida di adattamento
L’opera di Baricco è nota per la sua scrittura elegante e ricca di allusioni, che può risultare problematica quando si tratta di trasporla sul grande schermo. Nessun altro esempio è più emblematico di “Seta”, che non riuscì a catturare pienamente l’essenza del testo. Contrariamente a quanto avvenuto in “Novecento”, dove la sceneggiatura si giovava della regia di Giuseppe Tornatore, “Senza sangue” rappresenta una vera e propria sfida. Qui, Angelina Jolie si confronta con le difficoltà create da un’opera intrinsecamente teatrale, sviluppando un linguaggio visivo che rispetti la struttura originale del romanzo.
La regia di Jolie si concentra su un momento chiave del testo: il dialogo tra Nina, interpretata da Salma Hayek, e Tito, impersonato da Demián Bichir. Questo incontro avviene attorno a un tavolo, dove il passato oscuro di Tito emerge in tutta la sua complessità. La macchina da presa rimane ancorata ai primissimi piani, esaltando le espressioni facciali e il linguaggio non verbale. Questo approccio consente di esplorare le emozioni e le tensioni che si intrecciano durante la conversazione, dando vita a un’atmosfera carica di significato senza ricorrere a sequenze d’azione sensazionalistiche.
La riflessione sulla violenza e la ricerca di autenticità
Angelina Jolie affronta la violenza in “Senza sangue” come tema centrale della narrazione, chiudendo un cerchio iniziato con “Nella terra del sangue e del miele” e proseguito con “Per primo hanno ucciso mio padre”. La sua intenzione è chiara: non vuole solo narrare una storia di vendetta, ma desidera invitare gli spettatori a riflettere sulle conseguenze dei conflitti e sul ciclo ininterrotto di dolore e ritorsione. La regista decide di distaccarsi dalle consuete logiche hollywoodiane, che spesso tendono a glorificare la violenza attraverso spettacolarizzazioni.
Nel suo film, i momenti di conflitto, pur essendo presenti, sono resi con sobrietà. Scene di combattimento e esecuzioni sono intercalate con i dialoghi tra i protagonisti, creando un contrasto potente che sottolinea l’assurdità della guerra. Questa scelta stilistica evidenzia il desiderio di Jolie di non distrarre il pubblico dal messaggio centrale: la violenza genera solo ulteriore violenza. La direzione di Jolie non si limita a una mera rappresentazione del male, ma cerca di esplorare le origini del conflitto umano, il dolore e la perdita che derivano da queste esperienze.
La sfida di mantenere il pubblico coinvolto
Tuttavia, questa scelta di un approccio rigoroso e riflessivo comporta anche rischi. La sfida principale per Jolie è mantenere l’attenzione dello spettatore senza scivolare nella banalità. L’armonia tra silenzi e lunghi dialoghi può allontanare coloro che cercano nel cinema un intrattenimento immediato. In effetti, la sua regia potrebbe risultare distante, rischiando di rendere la narrazione poco accessibile a chi si aspetta una tradizione cinematografica più convenzionale.
Nonostante ciò, la visione artistica di Jolie esprime una profonda serietà e un impegno per il messaggio. “Senza sangue” è un film che, con la sua quiete e introspezione, offre al pubblico la possibilità di immergersi in una riflessione profonda e necessaria sulla violenza e sulle sue ripercussioni. La strada che la regista ha intrapreso può benissimo aprire un dibattito sulla rappresentazione della violenza nel cinema contemporaneo e sull’importanza di trovare un equilibrio stilistico tra artistico e commerciale.