Bakhtyar Khudojnazariv lancia un messaggio di speranza e di amore nelle magiche terre del Kurdistan
(V Oždanii Morja) Regia: Bakhtiar Khudojnazarov – Cast: Egor Beroev, Anastasia Mikulchina, Detlev Buck, Dinmukhamet Akhimov – Genere: Drammatico, colore, 109 minuti – Produzione: Russia, 2012.
Il regista Leone d’argento a Venezia per “Pari e patta”, Bakhtyar Khudojnazariv, apre la settima edizione del Festival Internazionale del Film di Roma con il suo ultimo film “Aspettando il mare”, un dramma ambientato in un piccolo villaggio dell’Asia centrale che sembra fuori dal tempo e dallo spazio.
La piccola cittadina sul mare vive di pesca da secoli fino al giorno in cui una devastante tempesta di sabbia distrugge la loro serena quotidianità. Il mare viene inghiottito da un deserto spaventosamente vasto, il porto lascia spazio ad un aeroporto, la gente perde la voglia di vivere.
Quando accade la disgrazia, Marat (Egor Beroev), i suoi marinai e la sua adorata moglie Dari si trovano sulla sua nave, in mezzo al mare, in cerca di pesci. La tempesta inghiotte l’imbarcazione e tutti i passeggeri, fatta eccezione per il capitano, Marat, che miracolosamente riesce a salvarsi.
Una salvezza, però, esclusivamente fisica in quanto il nostro protagonista perde tutto quello che è e che ama in un attimo: la sua nave, il suo lavoro, la sua identità, la benevolenza dei suoi concittadini e, sopra ogni cosa, sua moglie.
Trascorrono diversi anni, i corpi non sono mai stati ritrovati e Marat si convince che per Dari, l’unica donna che abbia mai amato e che significa qualcosa per lui, c’è ancora speranza. “ll mare non uccide” afferma, certo del fatto che ciò che è stato preso verrà restituito. Inizia così il viaggio di Marat alla ricerca del mare, a bordo della sua vecchia nave arruginita, recuperata in mezzo al deserto, e munita di pneumatici che le permettono di spostarsi sulla terraferma.
A seguirlo c’è la bellissima cognata, Tamara (Anastasia Mikulchina), perdutamente innamorata di lui, ma non corrisposta, fin da bambina.
“Aspettando il mare” è film riflessivo e metaforico che pone al centro dell’attenzione il tempo e la sua umana percezione. L’inevitabile susseguirsi degli eventi alle volte può essere causa di pene e sofferenza per chi assiste impotente al completamento sconvolgimento del proprio mondo. Dal paesino portato in scena da Bakhtyar Khudojnazariv non se ne va solo il mare, ma la vita stessa. La gente è atterrata dalla tristezza, dal rimpianto e dell’amaro ricordo di ciò che ha perso. Marat, schernito ed ostacolato da tutta la comunità, si imbarca per un’impresa surreale, che, però, è l’unica reazione avuta da qualcuno nel corso di anni. Nonostante la sua apparente assurdità, il gesto di Marat combatte l’immobilità dell’intero villaggio e comunica nuova speranze alle persone. E la speranza è indispensabile, questo il principale messaggio di “Aspettando il mare”. Marat è la personificazione della necessità umana di continuare a credere in qualcosa, qualsiasi essa sia purché non si spenga la speranza. E per farlo, affronta il dolore del passato, la ferita che si riapre ad ogni ricordo, salendo sulla nave, ma nell’acqua, sin dal Cristianesimo simbolo di rinascita, troverà la serenità e la pace spirituale.
La forza principale di questa pellicola è sicuramente l’estetica metaforica e le ambientazioni mozzafiato di spazi immensi e silenziosi, spezzati solo dall’immagine della nave di Marat e capaci di comunicare più della migliore battuta.
“Aspettando il mare” è un film di forte impatto visivo, con location che non possono non stregare, e un cast assolutamente perfetto. In particolare quelle di Anastasia Mikulchina ed Egor Beroev sono interpretazioni pulite, coinvolgenti, ma mai eccessive, in ruoli in cui il rischio di andare sopra le righe era concreto.
Eppure, nonostante le alte pretese del regista, la pellicola non convince a pieno. Il viaggio di Marat è lento e ripetitivo e mette a dura prova lo spettatore che, pur cogliendone il messaggio e la simbologia spirituale, non è emotivamente coinvolto come dovrebbe. La questione c’è, ma non la si sente propria e si guarda ai protagonisti e alla vicenda con distacco e ben poca partecipazione.
Corinna Spirito