Recensione
Assandira: un’indagine su un rogo corre parallela a un’analisi culturale ed esistenziale
Salvatore Mereu si ispira all’omonimo libro di Giulio Angioni per proporre un racconto che affonda la propria essenza nella sua Sardegna, in quella terra snaturata dal turismo, in cui anche le tradizioni vengono mercificate in nome di un riscatto sociale che a quanto pare sembra passare solo attraverso il benessere economico.
Così Mario, emigrato in cerca di fortuna, torna dall’anziano padre Sebastiano, con la sua compagna, e un progetto che può cambiare radicalmente le loro vite, trasformandolo da cameriere in imprenditore: investire nella realizzazione di un agriturismo che offra un tuffo nelle antiche tradizioni pastorali, senza dimenticare una nuotata in piscina, perché questo è quello che cercano i vacanzieri.
“Assandira” è proprio il nome di quest’agriturismo, le cui ceneri dominano le prime scene del film, in un desolante paesaggio di morte, con un temporale che ammanta e annulla tutto.
Il film sarà un viaggio a ritroso, quello che Sebastiano, sopravvissuto, farà assieme al PM, tra detto e non detto, in un’indagine più personale che giudiziaria, che darà modo al regista di affrontare diverse tematiche, che si diramano da quella principale, il rapporto tra l’uomo e suo figlio.
Un film vivo, reale, coinvolgente, vera poesia
Il film è un viaggio intimo nel recente vissuto di quest’uomo, il racconto di una violenza culturale perpetrata ai suoi danni, che cancella la dignità del faticoso lavoro del pastore, per trasformarlo in un gioco per turisti, che per rimanere tale deve svincolarsi dal reale. Così anche gli animali sono un mezzo di intrattenimento, privati di quel rispetto che è solito dar loro chi li accudisce. In vero, come afferma Sebastiano, nemmeno i bambini vorrebbero mai giocare a fare i pastori, ben coscienti della fatica e del sacrificio che questo implica. In questo gioco di ruolo ognuno recita una parte, in una sorta di finzione collettiva che favorisca lo svago del viaggiatore.
Con “Assandira” il cineasta sardo offre spunti per riflessioni profonde, non solo sul legame tra Mario e suo padre, sottotraccia che ci ricorda come la Sardegna sia un ‘pagliaio’ estivo facile da incendiare, l’importanza delle tradizioni cui fare riferimento, il valore della dignità. Punta il dito su certo turismo di massa, che spesso svilisce e ridicolizza le abitudini e gli usi di un’intera realtà.
L’alternanza nei dialoghi di italiano e lingua sarda rende il girato credibile, spesso infatti in Sardegna, in uno stesso contesto si parlano entrambe, a seconda di chi sia l’interlocutore. Il film è giustamente sottotitolato, ma chi ha la fortuna di conoscere anche la lingua sarda potrà arricchire la visione di quelle sfumature intraducibile in maniere completa, di cui il sardo è abbondante.
Una storia raccontata e recitata con ardore e grazia
Mereu muove la macchina da presa con maestria, soffermandosi con decisione sui volti dei protagonisti, in un’alternanza di cromie che mostrano il presente quasi in bianco e nero, ed i ricordi in una girandola di colori brillanti, grazie ad una fotografia spettacolare, curata da Sandro Chessa. L’utilizzo dei campi stretti avvicina lo spettatore alla ‘scena’, soprattutto nei momenti topici, in cui le immagini mostrano ciò che l’uomo faticherebbe a spiegare a parole.
Uno straordinario Gavino Ledda interpreta l’anziano padre, in una sorta di contrappasso l’autore di “Padre Padrone” porta sullo schermo un padre che si piega, dimentico per scelta di quelle regole che l’hanno accompagnato tutta la vita. Tutto per accontentare i desideri del figlio, e non fargli mancare il necessario supporto, anche quando, assieme alla nuora gli chiede un dono davvero difficile da elargire. Il volto scavato dell’uomo sono la fotografia di una vita difficile, Ledda si muove con lentezza, a mostrare una nuova fatica, quella del sopravvivere a tanto dolore.
Bravissima Anna König, la sua interpretazione ben rappresenta la disinibita moglie di Mario, Grete, vista con gli occhi del suocero. Particolarmente riuscita la prova di Corrado Giannetti, il suo Giudice Pestis convince e incanta per cordialità e umana comprensione. Bravi anche Mario Zucca nei panni del ‘figliol prodigo’ e Samuele Mei in quelli di Peppe Bellu.
La storia è per Mereu una nuova opportunità per analizzare ancora quella disarmonia tra tradizione e modernità che spesso caratterizzano la Sardegna, un territorio che non riesce a fare i conti con se stesso, passato troppo velocemente da una realtà agropastorale al boom turistico. Un boom che ha visto l’isola diventare una sorta di realtà coloniale in mano a grandi investitori per lo più esteri, che hanno lasciato ai sardi poche briciole, alcune delle quali da racimolare in questi inediti agriturismi. A quelli che offrono cibi locali ed un giro nell’aia si affiancano quelli che permettono di poter essere ‘pastori per un giorno’, il guaio è che “Assandira” ha voluto forse osare un po’ troppo, dimenticando come ‘a tutto ci sia un limite’, anche al gioco, un limite qui superato, quando per Sebastiano la vergogna per ciò che accade è superiore alle sue possibilità di appoggiare il quotidiano teatrino che ha per lui oramai perso decoro e dignità.
Maria Grazia Bosu
Trama
- Regia: Salvatore Mereu
- Cast: Gavino Ledda, Anna Konig, Marco Zucca, Corrado Giannetti, Samuele Mei
- Genere: drammatico, colore
- Durata: 128 minuti
- Produzione: Italia, 2020
- Distribuzione: Lucky Red
- Data di uscita: 9 settembre 2020
“Assandira” è un film diretto da Salvatore Mereu, presentato Fuori Concorso alla 77ª edizione della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. La pellicola è liberamente tratta da “Assandira” di Giulio Angioni edito da Sellerio.
Assandira: la trama
In una notte di pioggia, il fuoco devasta l’agriturismo sardo in mezzo al bosco chiamato “Assandira” come una vecchia nenia tradizionale. Sopravvive solo il vecchio Costantino (Gavino Ledda), che non è riuscito a salvare il figlio Mario (Marco Zucca) morto nell’incendio, mentre la moglie Grete (Anna Konig) è in ospedale in gravissime condizioni. Un magistrato, arrivato sul luogo dell’accaduto si trova a fare chiarezza sui fatti. Si scopre che tutto è accaduto per una storia iniziata tanto tempo prima con il ritorno in Sardegna del figlio dell’uomo, e del suo progetto imprenditoriale avversato dal patriarca, ex pastore.
Note di Regia
Salvatore Mereu porta a Venezia un’opera importante prodotta dalla sua società di produzione VIACOLVENTO e da Rai Cinema. Il film, di matrice letteraria è un omaggio alla sua terra contaminata dal turismo di massa; ne è protagonista Gavino Ledda autore del romanzo “Padre padrone” messo in scena sul grande schermo nel 1977 dai fratelli Taviani. Lo stesso Gavino ha poi esordito come regista nel 1984 con “Ybris” presentato a Venezia nel 1986.
Salvatore Mereu è uno dei registi più importanti della Sardegna contemporanea. Il suo film d’esordio è “Ballo a tre passi” del 2003, vincitore della sezione La settimana della Critica a Venezia. Il regista torna nel 2010 in Laguna con “Tajabone” ambientato fra i giovani studenti delle scuole medie alla periferia di Cagliari, e nel 2012 nella sezione Orizzonti con “Bellas mariposas” tratto dal libro omonimo di Sergio Atzeni. Nel 2013
sempre per conto della Mostra partecipa al film collettivo “Venezia 70 – Future Reloaded” insieme a 70 registi provenienti da tutto il mondo per celebrare la 70ª edizione del Festival. Da anni alterna la sua attività di regista a quella di insegnante di educazione all’immagine. Dal 2004 è membro dell’Accademia del Cinema Italiano.