Recensione
“Bande à part” – Recensione: ma Godard invecchia o si eterna?
Rivedere “Bande à part” sul grande schermo può generare impressioni e sensazioni contrastanti.
Da un lato si prova una certa compiaciuta e divertita benevolenza nei confronti di quel senso di artigianalità che il film trasmette, ad esempio con l’uso del suono in presa diretta, sporcato da fastidiosi rumori di fondo o da quelle stanze vuote che fanno rimbombare le parole (casa di Odile è scarsamente ammobiliata e, in generale, la scenografia è scarna).
Questo spirito artigianale attizzerà certamente l’autoerotismo del cinefilo, che godrà nel vedere un lungometraggio che è quasi il canovaccio di un film, con una sceneggiatura ancora in fase embrionale, una storyline sconclusionata, un’assenza di caratterizzazione della personalità dei protagonisti Franz, Arthur e Odile, tre personaggi totalmente inetti alla vita e persino allo schermo.
Le scene di tranche de vie sono programmaticamente ed esteticamente inutili dal punto di vista narrativo: momenti estemporanei di un cinema estemporaneo. E sono proprio queste tranches de vie ad aver affascinato decine e decine di cineasti, che hanno consacrato la scena del ballo e quella della corsa nel museo del Louvre come due momenti apicali della cinematografia, innalzati a veri e propri monumenti di quell’incurabile morbo che si chiama cinefilia.
Sia la concezione di inutilità che quella di inconsistenza sono due punti che oggi considereremmo negativi, e che invece per la Nouvelle Vague erano manifestamente eversivi e rivoluzionari, scardinatori di un immaginario cinematografico e artistico che si presentava loro come fin troppo codificato e prevedibile.
“Bande à part”: cult vs. classico
“Bande à Part” è uno dei film-manifesto della Nouvelle Vague, tanto è legato a quel tipo di esistenzialismo, di giovanilismo, di borghesismo (che proviene direttamente dalla letteratura, ispirato dalle pagine di un Moravia prima, e di un Sartre o di un Camus poi).
“Bande à Part” è dunque un film figlio del suo tempo, che oggi potrebbe sembrarci invecchiato sia nei contenuti che nella riproposizione di alcuni modelli comportamentali, che paiono, talvolta, decisamente reazionari, nonostante la rivoluzionarietà d’intenti che anima la pellicola. Basti pensare alla figura di Odile, totalmente passiva, che i due Franz e Arthur si permettono allegramente di palpeggiare, schiaffeggiare e trattare come una mentecatta. Odile per Godard è una bambolina di pezza inanimata, in balia della vita, trascinata all’azione dalle azioni altrui.
“Bande à Part” è uno di quei film che diventano cult ma che non potranno mai diventare “classici”, tanto sono legati ad un particolare modo di fare cinema da avere ormai assunto un valore quasi documentaristico.
È con questa consapevolezza che lo spettatore, edotto, deve recarsi al cinema. Uno spettatore che va quindi “educato” al fatto che si troverà di fronte al famoso montaggio sconnesso godardiano, alle didascalie esplicative, alla frammentarietà di informazioni narrative. “Bande à part” non è dunque un film universalmente godibile, ma può essere – a seconda del punto di osservazione, storico o cinefilo, da cui si sceglie di guardarlo – un documento dei tempi oppure un film di culto. Qualunque sia il vostro modo di vederlo, sappiate che ora è in sala in una bella veste restaurata.
Marta Maiorano
Trama
- Regia: Jean-Luc Godard
- Cast: Anna Karina, Claude Brasseur, Sami Frey, Louisa Colpeyn, Chantal Darget, Ernest Menzer, Danièle Girard, Georges Staquet, Jean-Claude Rémoleux, Michel Delahaye, Louis Jojot, Claude Makovski, Michèle Seghers, Jean-Luc Godard
- Genere: Commedia, b/n
- Durata: 95 minuti
- Produzione: Francia, 1964
Due giovani, Arthur e Franz, si innamorano della loro bellissima amica Odile e tentano di convincerla a prendere parte alla rapina che stanno organizzando contro il tutore della ragazza. La vittima dovrebbe nascondere nella propria soffitta una grossa somma di denaro. I tre giovani passeranno le loro giornate nei caffè di Parigi, tra balli, sparatorie immaginarie e svaghi intellettuali. Arrivato però il momento di attuare il piano, tutto comincerà ad andare storto.
Bande À Part: un triangolo pericoloso
“Bande À Part”, uscito nelle sale per la prima volta nel 1964, è il settimo film del regista francese Jean-Luc Godard, che ha curato anche la sceneggiatura e la produzione.
Jean-Luc Godard è uno dei più grandi registi della storia del cinema, nonché uno dei fondatori della Nouvelle Vague, la corrente che con i suoi film ha rivoluzionato l’intera storia del cinema.
Dopo il successo di critica riscontrato l’anno precedente con il film “Il disprezzo”, il regista francese ha adattato per lo schermo il libro di Dolores Hitchens, “Fool’s Gold”, consigliatoli dal suo amico François Truffaut.
“Bande À Part”, film girato totalmente in bianco e nero, tratta di un vero e proprio triangolo amoroso. Protagonisti della vicenda sono, Anna Karina nel ruolo di Odile, attrice volto simbolo della corrente della Nouvelle Vague, e moglie del regista Jean-Luc Godard, con il quale collaborò in altri sette film oltre a questo. Nel ruolo di Franz troviamo l’attore Sami Frey (“Cleo dalle 5 alle 7” di Agnès Varda, “Eloise, la figlia di D’Artagnan” di Bertrand Tavernier”), mentre Claude Brasser (“Le strane licenze del caporale Dupont” di Jean Renoir, “Il tempo delle mele” di Claude Pinoteau) interpreta Arthur.
Indimenticabile è la scena del ballo in un bar sulle note del jukebox, che suona un pezzo soul composto da Michel Legrand, dove i tre si esibiscono in una divertente danza sincronizzata, che verrà citata trent’anni più tardi dal regista americano Quentin Tarantino nel suo film “Pulp Fiction”.