Per l’episodio conclusivo di “Chernobyl” il regista Johan Renck sceglie di puntare tutto sul processo a Dyatlov, Fomin e Bryuhkanov considerati i responsabili dell’incidente e sulla testimonianza di Valèry Legasov, coadiuvato da Ulana Khomyuk (Emily Watson), e dall’alto burocrate che era con lui, che ha scoperto di avere solo un anno di vita per le radiazioni prese alla centrale. Tra la ricostruzione perfetta dell’incidente e l’allarme lanciato dallo scienziato il pathos è altissimo e travolge lo spettatore.
Chernobyl: una fiction ambigua a tratti, ma necessaria per il messaggio che lancia
Questa meravigliosa fiction è iniziata con la fine – ovvero con il suicidio di Valéry Legasov, primo vice direttore dell’Istituto Kurchatov per l’energia atomica, mandato dal Cremlino insieme a Boris Schherbina, capo della Commissione governativa su Chernobyl sul luogo dell’incidente – e si chiude con lo stesso personaggio. La chiave di volta e il Deus ex machina della storia è l’uomo che si sacrifica, tormentato dai sensi di colpa per non essere riuscito a contenere i danni sulla popolazione nelle ore concitate che seguirono all’incidente.
La regia e gli sceneggiatori mettono al centro della narrazione le responsabilità del governo russo e la totale mancanza di informazioni fornite alla popolazione della zona e al mondo intero. La tragedia era evitabile e fu causata dalla leggerezza dei tre personaggi processati, che dovevano fare a tutti i costi un test in condizioni di assoluta impreparazione del personale, ignaro di quello che stava accadendo.
Il quinto e ultimo episodio non è di facile comprensione per via della ricostruzione molto tecnica di Legasov, ma arriva forte come un pugno nello stomaco allo spettatore.
Fiction e realtà si mischiano molto nella serie dell’HBO. In realtà, lo scienziato che raccontò la verità, registrando la sua testimonianza prima di uccidersi non era presente al processo, anche se andò a Vienna alla conferenza internazionale con un rapporto falsato che nascondeva la verità.
Un finale eccellente anche se complesso
La regia ha optato per una narrazione un pizzico contorta ma questo al fine di chiudere il cerchio con il grande rigore della ricostruzione dei fatti. D’altra parte, c’è forse troppa enfasi nella fase processuale, ma è reale anche quella. Si trattò di un evento mediatico orchestrato ad arte dal Cremlino per ripulirsi la coscienza davanti al popolo tutto e al mondo intero. Questo conforta da una parte la tesi che la fiction è di parte americana, cosa denunciata da Putin che sta preparando la sua versione dei fatti.
Sky ha deciso con grande intelligenza di mandare in onda subito dopo il quinto e ultimo episodio un reportage molto ben fatto con le testimonianze dei veri personaggi inviati sul posto o vicini ai protagonisti reali. Le immagine girate nell’ospedale abbandonato e nella città fantasma di Pripyat, anche se già viste, sono il perfetto specchio di una fiction straordinariamente ben fatta e capace di lasciare il segno. Il Presidente Mikhail Gorbaciov disse nel 2006 che il crollo dell’Unione Sovietica iniziò nel mese di aprile 1986 a Chernobyl. E così fu.
Ivana Faranda
09/07/2019