Recensione
I figli del mare – Recensione: un’opera dalle due anime
“I figli del mare” è un film in cui convivono due pulsioni diametralmente opposte: il comfort del concreto e l’alienazione dell’astratto.
La vicenda inizia con un classico incipit da bildungsroman in cui Ruka, la giovane protagonista, fa del male a un’altra ragazza durante le attività del suo club scolastico e si rifiuta di chiedere scusa, venendo così sospesa fino a quando non sarà in grado di riconoscere il proprio errore.
Il mondo di Ruka è popolato da dettagli che lo rendono intriso di vita e di realismo. Tutto viene raffigurato con una minuzia che sembra quasi brillare di luce propria nei piccoli gesti, come il chinarsi a raccogliere da terra una lattina di birra vuota (una chiara indicazione dello stato della madre di Ruka, che viene caratterizzata sin da prima della sua apparizione attraverso un efficace uso dell’ambiente) o il giocherellare nervosamente con l’orlo dei propri vestiti.
Lo stile scelto per l’animazione si sposa appieno con questa filosofia. Gli sfondi sembrano dipinti con gli acquerelli, ogni cosa è curata in modo nettamente diverso dalla stilizzazione più classica a cui i film d’animazione giapponesi fanno spesso affidamento. Macchie, crepe, segni di cedimento raccontano il vissuto degli oggetti, mentre una particolare attenzione agli occhi è in grado di donare espressività a personaggi che rischierebbero di essere altrimenti troppo allegorici.
I figli del mare: l’universo è metafora
La prima metà del film mantiene sempre un profondo legame con la realtà, nello stesso modo in cui Ruka non si azzarda a lasciar andare la corda che la tiene ancorata alla barca quando prova a nuotare in mare aperto per la prima volta. Umi e Sora, i due misteriosi ragazzi cresciuti dai dugonghi, irrompono nella vita della protagonista, trascinandola nelle loro avventure con la forza della risacca, ma la pellicola si preoccupa di mostrare anche il loro lato umano.
La sequenza migliore dell’opera è forse quella al confine tra le sue due anime, la “vacanza estiva” condensata in un singolo giorno di gioia pura, tanto intensa quanto effimera. Superata questa linea di demarcazione, infatti, la trama inizia rapidamente ad assottigliarsi, lasciando spazio a qualcosa di ben più esoterico.
Per “I figli del mare”, l’universo e l’umanità sono interconnessi. Ogni pianeta dotato di un oceano è una culla, un grembo materno. Si tratta in un certo senso di un’opera profondamente votata al panismo, in cui persone, animali e paesaggi si compenetrano e si annientano a vicenda, uniti dal retaggio culturale di una canzone sulla creazione stessa.
La seconda parte del film risulta di conseguenza ben più difficile da seguire, arrivando a tratti a peccare di autoreferenzialità, ma una commistione di stili che unisce sapientemente il 2D a tecniche visive 3D ed effetti speciali piuttosto audaci rende l’esperienza interessante dal punto di vista visivo.
Inoltre, la pellicola si preoccupa di riportare lo spettatore in acque più familiari con un finale dai toni dolci e pacati, carico di speranza per il futuro. Piuttosto che andare a perdersi nei meandri delle metafore, forse il modo migliore di interagire con “I figli del mare” è rivolgere lo sguardo verso se stessi, chiedendosi cosa sia rimasto a ogni singolo spettatore dopo la visione.
Gaia Sicolo
Trama
- Titolo originale: Kaijuu no Kodomo
- Regia: Ayumu Watanabe
- Cast: Mana Ashida, Hiiro Ishibashi, Yu Aoi, Min Tanaka
- Genere: Animazione, Avventura, Fantasy, colore
- Durata: 110 minuti
- Produzione: Giappone, 2019
- Distribuzione: Nexo Digital
- Data di uscita: 2 dicembre 2019
Tratto dal manga omonimo di Daisuke Igarashi, “I figli del mare” è un film d’animazione giapponese diretto da Ayumu Watanabe, noto anche come Kakeru Watanabe, regista di film come “Doraemon – The movie: Il dinosauro di Nobita” del 2006.
I figli del mare: la trama
Protagonista della storia è la liceale Ruka Azumi, una ragazza giovane e ribelle: ritrovatasi esclusa dall’attività di pallamano per l’intero periodo delle vacanze scolastiche e fortemente annoiata, Ruka decide di distrarsi trascorrendo una giornata a Tokyo, facendo visita al padre, impiegato presso l’acquario. Sarà proprio qui che la giovane protagonista incontrerà una misteriosa coppia di fratelli, Umi e Sora, con cui Ruka scoprirà di condividere un misterioso legame, una sorta di connessione soprannaturale con il mondo marino e l’oceano. I tre ragazzi si troveranno coinvolti in una straordinaria avventura, mentre nel mondo si stanno verificando strani fenomeni legati all’universo acquatico, come l’apparizione di creature lontane dal loro habitat naturale e la scomparsa delle creature acquatiche dagli acquari in giro per il mondo.
I figli del mare: dal manga allo schermo
La storia della giovane Ruka nel manga “I figli del mare” viene pubblicata per la prima volta in Giappone tra il 2007 e il 2011 sulle pagine della rivista Ikki. Nel 2019 la storia dei ragazzi con lo speciale legame con il mondo marino diventa un film tra le mani di Ayumu Watanabe, che riveste il ruolo sia di direttore dell’animazione che di character designer.
Le musiche vengono curate da Joe Hisaishi, storico collaboratore della Studio Ghibli, famoso per le collaborazioni con Hayao Miyazaki in molte delle sue produzioni, come “La città incantata” del 2001 e “Ponyo sulla scogliera” del 2008.