Quasi un anno fa, a inizio pandemia da COVID-19, Canale 5 trasmise in prima serata “Contagion”, il film di Steven Soderbergh su “una” pandemia con caratteristiche incredibilmente simili a quella che stiamo vivendo in questo periodo. La messa in onda scatenò uno scontato vespaio di polemiche: si condannava il fatto di sfruttare la paura fra la gente, in nome della supremazia nel prime time (come se fare leva sull’emotività del pubblico per fare ascolti non accadesse normalmente).
Contagion: le tante verosimiglianze con la realtà
Al di là dell’opportunità della scelta di Mediaset, “Contagion” si rivelò davvero impressionante. E lo è sul serio, rivedendolo adesso. La pellicola è del 2011 e dal passato ci parla di: “distanziamento sociale”, “paziente zero”, e di “erre con zero”. Tutte diciture alle quali ormai abbiamo fatto l’abitudine ma che, pronunciate dai protagonisti di un film di 10 anni fa, fanno un effetto quantomeno strano. Di questo effetto cerchiamo di smontare, almeno in parte, la componente profetica per quanto effettivamente presente.
Il cinema di Soderbergh ha frequentato l’intrattenimento puro ma ha anche fatto i conti con la realtà dei fatti, affrontando tematiche delicate se non scottanti: da “Erin Brockovich” a “Traffic”, da “The Informat!” al recente “Panama Papers”. E quando in un film si affrontano certi argomenti, soprattutto se si sceglie di avere un allure di verosimiglianza, in molti casi ci si prepara prima scomodando giornalisti, ricercatori e scienziati. Questo per dire che molti dei termini tecnici che in qualche modo ci sbalordiscono di “Contagion” sono frutto di un studio preliminare, con il supporto di esperti della materia, da parte del regista e soprattutto dello sceneggiatore.
Soderbergh sulla scia degli epidemic movie
Ciò che per noi era la novità ad inizio pandemia, per un epidemiologo non lo è mai stata. Insomma, a Soderbergh possiamo togliere sia il capello da stregone che la pozione magica della fattucchiera, se mai ci fosse venuto in mente di visualizzarlo in tal modo. Oltretutto “Contagion” esce nel 2011, stesso anno di “Perfect Sense” altro epidemic movie, e non è una coincidenza: fra il 2009-2010 il mondo fu sconvolto dall’influenza suina. Facile immaginare quanto questo evento possa essere stato foriero di ispirazioni letterarie e cinematografiche.
Il suggestivo aggettivo “profetico”, nella sua accezione più razionale e per niente magica, suggeriamo di lasciarlo soprattutto ai grandi autori che se lo sono guadagnati sul campo. Alludiamo a Orwell, Huxley, Zamjiatin che, in tempi non proprio sospetti, hanno raccontato mirabilmente e con dovizia di particolari come sarebbe diventata la nostra società.
Se poi vogliamo restringere il campo e rimanere sull’epidemico non possiamo non citare “Cecità” di Saramago, potentissimo romanzo tragicamente predittivo (esiste anche la trasposizione cinematografica).
Ma torniamo a “Contagion”. Il film si avvale di 3 piani narrativi: le vicende della prima famiglia che si confronta impotente con il virus, il lavoro di medici e scienziati per arginare l’epidemia, curare i malati e per trovare i consigli giusti da fornire ai politici e, infine, la diffusione dell’informazioni ufficiali mentre un blogger molto seguito fornisce ai suoi follower l’ennesima teoria del complotto.
L’intreccio delle storie è efficace: la declinazione del dramma nei suoi molteplici aspetti restituisce la complessità dell’evento e l’enorme impatto sulle vite di tutti.
L’angoscia del ‘contagio’ e i danni dell’informazione
“Contagion” è un thriller cupo e angosciante che riesce a trasmettere la sua portata apocalittica con un fare quasi documentaristico. Chiaramente in poco più di un’ora e mezza alcuni elementi pagano dazio, come la tridimensionalità dei personaggi. Nel complesso però tutto funziona, funziona soprattutto agli occhi di chi una pandemia la sta vivendo in tempo reale.
Ma, pensando proprio a quanto stiamo subendo, quello dell’informazione sembra un tema sottovalutato nel film. Almeno in Italia, le testate giornalistiche mainstream da cui ci si aspettava una comunicazione più autorevole con notizie ponderate e verificate, hanno preferito cavalcare l’onda della psicosi collettiva. I più noti quotidiani hanno diffuso e continuano a diffondere notizie fuorvianti, a partorire titoli terrorizzanti e a indicare sistematicamente un capro espiatorio per mettere al patibolo mediatico untori o approfittatori della situazione.
Durante la “nostra” pandemia daCOVID-19 il vero nemico da combattere non è stato il blogger complottista di turno che in queste situazioni ci sguazza, ma l’informazione più accreditata. E non s’è salvato nessuno: anche le agenzia di stampa più importanti hanno assecondato il finto scoop allarmistico. Nel film la diffusione di notizie vere o false si basa su un’impostazione che ammicca troppo a una visione manichea delle cose: la buona informazione ufficiale contro la cattiva dei social il cui interprete principale riesce addirittura a tenere sotto scacco le istituzioni e gli organi di stampa.
Una descrizione un po’ approssimativa e non conforme di certo al caso italiano. Si dirà: quanto e come siamo stati informati nel corso di una pandemia dovrebbe essere un fenomeno oggetto di studi approfonditi che attengono ad altri campi. Il cinema però fornisce molto spesso delle dritte sull’interpretazione dei fatti e della realtà.
“Contagion” fa il suo: racconta molto ma non tutto. Chissà se il sequel annunciato da Soderbergh si occuperà di tutti gli “effetti collaterali” (tra l’altro è il titolo di un film del regista statunitense) della pandemia causata dal coronavirus. Vedere sul grande schermo i gravissimi danni fatti dalla mala informazione, potrebbe essere il punto cruciale per tornare alla cosiddetta normalità cercando di cambiarla profondamente.
Riccardo Muzi