Recensione
Cosa resta della rivoluzione: la storia di una giovane attivista
Arriva dalla prosa la regista francese Judith Davis, che porta sul grande schermo “Tout ce qui nous reste de la revolution, c’est Simon“, messo in scena nel 2009 dal Collettivo “L’avantage du doute”, di cui fa parte lei stessa. Vi si racconta il vissuto privato e non di una giovane donna impegnata nell’attivismo politico.
Angèle, interpreta dalla stessa Davis, fa l’architetto ed è licenziata dallo studio per cui lavora. Per ragioni economiche va a vivere dal padre Stéphane (Simon Bakhouche), vecchio maoista mollato dalla moglie Diane (Mireille Perrier) che, per rancore nei suoi confronti, ha fatto credere alla figlia più giovane di essere stata abbandonata. Appare subito chiaro quanti nodi ci siano da sciogliere per la protagonista e non solo per lei, ma anche per la sorella Noutka (Mélanie Bestel), sposata con un rampante imprenditore.
Si parla di vicende private in questo film agrodolce che guarda al passato, ma neanche così lontano. La dimensione sociale del racconto è solo accennata in piccoli tentativi di creare collettivi politici ristretti. Quello che è invece molto sottolineato è il ricordo del glorioso passato, visto dagli occhi del vecchio Stéphane che non accetta il presente.
Angèle vive in una bolla e l’incontro con Said (Malik Zidi) diventa l’occasione per scoprire se stessa e l’amore.
Cosa resta della rivoluzione: un ottimo film d’esordio, degno di nota per lo stato di grazia dei suoi attori
Ci sono due linee narrative in “Cosa resta della rivoluzione”. La prima è quella politica, solo accennata, la seconda è più intimista ed è senz’altro quella più riuscita. I dialoghi verbosi di Angèle spariscono per fare posto a un’interpretazione per sottrazione, fatta di silenzi e occhiate con la madre ritrovata. Lei è una straordinaria Mireille Perrier, diretta da giovanissima da Leo Carax, che da sola riempie lo schermo con un personaggio leggero ma importante.
Judith Davis alla sua prima prova cinematografica ha senz’altro mostrato un certo talento nella scelta degli interpreti e nello stile di regia. Ci sono piccole chicche tecniche che non possono non essere notate. Arriva dritto al cuore dello spettatore l’incontro senza parole di Angéle e sua madre, fatto di piccoli gesti silenziosi ma estremamente eloquente. Il punto di debolezza probabilmente è la scrittura troppo verbosa, che risente dell’origine teatrale del testo. Detto questo, “Quel che resta della rivoluzione” si può definire senz’altro un ottimo film d’esordio.
Ivana Faranda
Trama
- Titolo originale: Tout ce qu’il me reste de la révolution
- Regia: Judith Davis
- Cast: Judith Davis, Malik Zidi, Claire Dumas, Simon Bakhouche, Mélanie Bestel, Nadir Legrand, Mireille Perrier, Yasin Houicha, Pat Belland, Samira Sedira, Slim El Hedli, Emilie Caen, Jean-Claude Leguay, Maxence Tual, Samir Guesmi
- Genere: Commedia, colore
- Durata: 88 minuti
- Produzione: Francia, 2018
- Distribuzione: Wanted
- Data di uscita: 27 agosto 2020
“Cosa resta della rivoluzione” (titolo originale “Tout ce qu’il me reste de la révolution”) è una commedia francese diretta e interpretata dall’attrice Judith Davies, al suo debutto alla regia e incentrata, come si evince dal titolo, sul mito delle lotte rivoluzionarie del ’68 e sullo stato odierno della società, tra la sinistra di una volta e il suo attuale stato di crisi.
Cosa resta della rivoluzione: il declino inesorabile della classe medio-borghese
La pellicola realizzata da Agat Films& Cie di Robert Guediguian,produttori de “Il giovane Karl Marx”, racconta la storia di Angele, interpretata dalla stessa Davis, una giovane urbanista parigina che combatte con la sua società, e si sente colpevole di essere “nata troppo tardi”.
Una commedia politica dove la protagonista volge al mondo uno sguardo indignato ed alienato, frustrata professionalmente da un lavoro che non riesce a trovare il giusto spazio in un contesto sordo della Francia odierna, non troppo dissimile anche dalla cara Italia.
Angele si sente disorientata di fronte alla mancanza di un impegno politico concreto da parte di una generazione oramai divorata dall’attuale stato sociale, incapace di affermarsi, sottopagata e sfruttata. Per sopravvivere torna a vivere a casa del padre, rimasto ancora ancorato agli ideali maoisti e, istituendo un piccolo collettivo civico, si cimenta nel tentativo disperato di invocare la necessità di un cambiamento.
Figlia di attivisti, è rimasta sola insieme al padre a difendere l’alto valore degli ideali, dopo l’abbandono della madre che all’impegno politico ha preferito ritirarsi in campagna e la scelta della sorella di entrare nel mondo degli affari.
Cosa resta della rivoluzione: tra dilemmi e l’avvento del McDonald’s
“Cosa resta della rivoluzione” è nato dal mio desiderio di confrontarmi per l’ennesima volta con l’ingombrante totem rappresentato dal maggio del ‘68, ingombrante perché ogni volta che nasce un movimento di contestazione, sembra lo si debba sempre per forza confrontare con il maggio francese. Come se non fossimo autorizzati a reinventare modelli di impegno politico perché sembrano sempre al di sotto di quelli nati in quel periodo”
Queste le parole della regista e attrice.
In “Cosa resta della rivoluzione” assistiamo alla rappresentazione di una moderna eroina, in bilico tra Don Chisciotte e Bridget Jones, circondata da bizzarre figure come l’aspirante fidanzato Said, a cui presta il volto Malik Zaidi, animato da uno spirito neo francescano e romantico e una sorella triste e ingrigita da un marito rampante alienato ed alienante.
Il lungometraggio è nato da uno spettacolo teatrale scritto dalla stessa Davis e viene distribuito nelle sale da Wanted Cinema.