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Dallas Buyers Club – Recensione

Dallas Buyers Club: Matthew McConaughey e Jared Leto in un’emozionante pellicola sull’AIDS e la strapotere delle case farmaceutiche americane

Regia: Jean-Marc Vallée – Cast: Matthew McConaughey, Jared Leto, Jennifer Garner, Dallas Roberts, Steve Zahn – Genere: Drammatico, colore, 117 minuti – Produzione: USA, 2013 – Distribuzione: Good Films – Data di uscita: 2 gennaio 2014.

dallas-buyers-club-locTra le tematiche trattate con successo all’interno della cinematografia statunitense, possiamo annoverare di certo il problema dei malati di AIDS e l’isolamento che essi vivono spesso in comunità chiuse, terrorizzate dal contagio fisico e dall’omosessualità delle vittime. “Dallas Buyers Club” di Jean-Marc Vallée di sicuro può rientrare con orgoglio nel novero di grandi film come ad esempio “Philadelphia”, traendo ispirazione dalla vera storia del texano Ron Woodroof.

Il regista si spinge ancora più in là, lanciando un’aperta critica al sistema sanitario americano e alla Us Food and Drug Administration, schiava delle case farmaceutiche e per questo colpevole di campagne a favore di nuovi farmaci non sempre benifici.

Ron Woodroof (Matthew McConaughey) è un elettricista texano che si guadagna da vivere a stento. Le sue passioni principali sono il rodeo, la droga, l’alcol e le donne. La sua vita è un miscuglio torbido di disperazione e atteggiamenti da cowboy duro e puro. A causa di in incidente sul lavoro, Ron viene portato in ospedale e lì scopre di aver contratto il virus dell’HIV, notizia che getta un’ombra sulla sua esibita eterosessualità. Ma proprio quell’ospedale in qualche modo gli salverà la vita: lì incontrerà la dottoressa Eve Saks (Jennifer Garner) e il transessuale Rayon (Jared Leto), anche lui malato e schiavo della droga. Ron e Rayon avvieranno insieme il Dallas Buyers Club, una società impegnata nella distribuzione di medicine non approvate dall’FDA, ma piuttosto efficaci nel combattere la sintomatologia dell’AIDS, grazie anche all’aiuto della dottoressa.

Ciò che rende il film emozionante e denso di significato è soprattutto la bravura degli attori, che si sono calati mentalmente e fisicamente nei panni di malati senza speranza, disposti a tutto pur di salvare se stessi, ma anche capaci di combattere con poche risorse lo strapotere delle amministrazioni americane in fatto di sanità. Matthew McConaughey sveste i panni di ‘belloccio’ e con un aspetto da vero cowboy texano, regge le fila di un film difficile e crudo. Sia lui che Jared Leto hanno vistosamente perso peso, hanno accettato di rendersi sgradevoli alla vista, perché più verosimili e per questo capaci di colpire allo stomaco per sensibilizzare su un problema enorme quanto quello di questa malattia.

I due si deteriorano nel fisico e nella mente, mano mano che il virus colpisce, ma la loro bizzarra e affettuosa unione gli permette di darsi qualche chance in più. Jared Leto, tra l’altro, è in grado di fingersi una donna con estrema disinvoltura, alterando la propria voce e adottando una gestualità molto femminile. L’aspetto più riuscito della sua interpretazione risiede nel fatto di riuscire a trasmettere la sensibilità di un animo femminile, rinchiuso in un corpo da uomo.

Jean-Marc Vallée può avvalersi delle doti camaleontiche dei due attori principali, ma anche di alcune azzeccate scelte stilistiche che contribuiscono a coinvolgere lo spettatore nel decorso della malattia di Ron e Rayon: il fischio fastidioso che spesso prende il posto della colonna sonora, le immagini sfocate che precedono i tracolli psicofisici dei personaggi servono a veicolare un senso generale di malessere.

Il film non vuole solo sensibilizzare il pubblico su una malattia così debilitante, cerca di fare molto di più: la dottoressa Eve, interpretata dalla dolcissima Jennifer Garner, combatte una sua personale battaglia contro l’ospedale in cui lavora, colpevole di aver accettato la sperimentazione di un farmaco contro l’HIV, imposto dalla casa farmaceutica; il regista sembra sceglierla per rappresentare la possibilità di combattere dall’interno il marciume imperante che danneggia il sistema sanitario made in USA. La denuncia è forte quindi e proviene da voci di vario tipo: dalla voce dei malati disperati del Dallas Buyers Club che combattono con mezzi illegali, a quella del sistema stesso, non tutto corrotto da una mentalità di profitto.

L’ambientazione scelta per la pellicola potrebbe ricordare un po’ quella di un altro celebre film sui cowboy, “I segreti di Brokeback Mountain” di Ang Lee, ambientato in Wyoming: in “Dallas Buyers Club” siamo in Texas, ma la mentalità omofobica imperversa ugualmente, isolandone le vittime. Dallas, con la sua polvere e le sue case a schiera, covo di violenze e ignoranza, in cui gli squattrinati vivono nel sudiciume e nel vizio, è anch’essa protagonista del film. Ron, pur essendo un rappresentante tipico di questa realtà sia nel modo di atteggiarsi che di vestire, riesce a solidarizzare con chi sta dall’altra parte, sino a costruire una vera e propria famiglia.

Un ulteriore elemento di caratterizzazione degli ambienti del film è la scelta di dare un piccolo spazio, anche simbolico, alla famosa pratica del rodeo, che apre e chiude la vicenda. Oltre al fatto di essere funzionale a una raffigurazione più verosimile della realtà dei cowboy texani, la passione per il rodeo rappresenta anche la corazza che Ron indossa fin quando non scopre di essere malato e fin quando non accetta di cercare la propria forza dove non aveva mai cercato: nell’accettazione del diverso e nell’affetto. Il mito della virilità del cowboy crolla, rimane solo la determinazione di un uomo che non vuole morire.

Irene Armaro

Dallas Buyers Club – Recensione

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