Recensione
Dogtooth: il potere della perversione
Il titolo originale del film è “Kynodontas”, che tradotto letteralmente vuol dire canino, diretto da Yorgos Lanthimos e scritto da Efthymis Filippou. “Dogtooth” è il racconto surreale di una storia familiare che cela un aspetto della più intima essenza umana.
Tutto si svolge in un’isolata villa con giardino e piscina, accuratamente recintata da un’imponente e folta siepe, che la protegge dal mondo esterno. Fin da subito il pubblico è costretto ad impattare con una realtà “altra”, allegorica e inquietante, dove il significato delle cose è completamente sconvolto.
“Mamma che vuol dire zombie?”
“Lo zombie è un piccolo fiorellino giallo”.
Il lessico famigliare sovverte completamente il significato comunemente attribuito alle parole, andando a costituire una realtà perversa e deformante. Perversione quindi nel senso di pervertire cioè sconvolgere, fuorviare, mutare il senso.
Detto ciò, qualcuno si starà appunto chiedendo che senso ha tutto questo?
Il potere della perversione risiede nell’illusione di poter padroneggiare la vita degli altri. In questo caso, la coppia di genitori soddisfa il desiderio di totale controllo sulla vita dei figli. Crescendoli in un’assurda, apparente iperprotezione, la coppia tenta di negare il piacere perverso che però sfugge e si insinua in ogni sguardo, ogni parola.
Dogtooth: 94 minuti di perturbante intimità
Tanto è stato scritto sul significato sociale e politico che “Dogtooth” trasmette. La riflessione qui proposta toccherà tutti coloro che, segretamente, nutrono la loro mente di un piacere perverso. Qualcuno si sentirà accusato, ma no, non agitatevi. Pensiamo insieme.
Quanto è attraente una dimensione relazionale in cui i limiti, le differenze, i confini, si possono abbattere? Un posto dove si può vagare nel piacere sconfinato di “fare finta” che il retrogusto dei legami parentali non sia l’incesto, che la differenza tra i sessi o l’età non esista. In sostanza quanto piace, ad ognuno di noi, coltivare l’illusione che una piccola isola di onnipotenza esista e sia accessibile?
Ebbene, “Dogtooth” ci catapulta in una suggestiva visione del pensiero onnipotente all’opera. Il capolavoro di Lanthimos e Filippou ci regala 94 minuti di perturbante intimità.
Dente di cane
“Dogtooth” si può tradurre con “dente di cane”. E non è un caso che ci sia un elemento che riconduce al mondo animale. Infatti, uno dei temi ricorrenti anche in “The Lobster” e “Il Sacrificio del Cervo Sacro”, tra pellicole più oscure del regista, è il connubio uomo-animale. Sembra che la natura umana non possa prescindere dall’indissolubilità di questa unione.
Nei film del regista greco, questa doppia essenza assume un carattere surreale dai contorni opprimenti. Sembra che l’animalità, sia allo stesso tempo salvezza e condanna dell’uomo.
È dagli albori della civiltà che l’uomo vive la sua duplice natura come un conflitto interiore, chiedendosi come i due aspetti possano co-esistere pacificamente. In fin dei conti, noi umani siamo esseri chimerici, creature ibride, fatti da una natura più bassa guidata da appetiti corporei, e una più alta dominata dalla ragione, dalla devozione, dalla spiritualità. Cosa potrà mai liberare l’uomo da tale conflitto ancestrale?
Giulia Cirenei
Trama
- Titolo originale: Kynodontas
- Regia: Yorgos Lanthimos
- Cast: Angeliki Papoulia, Mary Tsoni, Hristos Passalis, Anna Kalaitzidou, Alexander Voulgaris, Christos Stergioglou, Michele Valley
- Genere: Drammatico, colore
- Durata: 94 minuti
- Produzione: Grecia, 2009
- Distribuzione: Lucky Red
- Data di uscita: 27 agosto 2020
“Dogtooth” è un film di Yorgos Lanthimos, indaga la storia di una famiglia che ha dei modi peculiari e senz’altro discutibili di vivere le relazioni intra ed extra-familiari.
Dogtooth: la trama
“Dogtooth” è un film che, nel raccontare di tre figli cui viene proibito di accedere al mondo esterno, cioè tutto ciò che è oltre il recinto della casa in cui vivono, si pone come metafora di una società (la nostra) che tende ancora all’esclusione dell’estraneo il quale, in quanto diverso, è vissuto come spaventoso. Ad essere degno di nota è il carattere surreale che attraversa tutta la narrazione e che assume delle sfumature assai perverse. I toni caldi scelti per la fotografia danno un senso di quiete e rassicurazione, ma dopo aver visto questo film vi sentirete tutt’altro che rassicurati. Con il suo capolavoro, Lanthimos ci mette di fronte a un modo di vivere le relazioni, pensare e agire assolutamente perturbante.