I fratelli D’Innocenzo, registi di successi come “La terra dell’abbastanza” e, il più recente, pluripremiato “Favolacce”, sono stati ospiti alla Festa del Cinema di Roma 2020. Protagonisti di un Incontro Ravvicinato, condotto da Alberto Crespi, hanno raccontato la loro idea di cinema, parlando di film e registi preferiti, tra aneddoti e retroscena. Un incontro davvero particolare e diverso dal solito, senza filtri, spontaneo e in parte anche divertente, proprio come sono i fratelli D’Innocenzo. E non è mancata inoltre qualche anticipazione sul loro prossimo film.
Ecco l’Incontro Ravvicinato completo
Come vi sentite dopo aver realizzato questi due film? “Favolacce” sembra un film d’esordio nel quale i registi cercano di mettere molto del loro mondo, e con uno stile particolare. Mentre “La terra dell’abbastanza” sembra una pellicola girata da registi che hanno una grande maturità alle spalle, sembra il trentesimo o quarantesimo prodotto, tanto da riuscire a non avere uno stile definito.
Fabio D’Innocenzo: “effettivamente abbiamo scritto “Favolacce” due anni prima di scrivere “La terra dell’abbastanza”. “Favolacce” aveva un approccio più rabbioso, legato a ciò che avevamo vissuto. “La terra dell’abbastanza” invece era più sereno, come se la rabbia nel frattempo si fosse consumata. “Favolacce” era un po’ la prima risposta alla vita. Però per vari motivi, soprattutto legati al cinema “La terra dell’abbastanza” è poi stato il primo film. Alla fine in “Favolacce” raccontiamo qualcosa di diverso, di davvero complicato da mettere in scena, il copione era complesso da realizzare per immagini.
Tutto era fortemente legato all’atmosfera, volevamo una sorta di sintesi tra ipnosi e stallo, una situazione che si vive in quelle province. Un lasciarsi andare che però è pieno di rancore, come una specie infantilismo. Siamo contenti che “Favolacce” sia un’opera seconda, come esordio non sarebbe stata la stessa cosa. Eravamo all’oscuro di molti elementi della cinematografia, e ora che stiamo lavorando al terzo film sappiamo che è importante avere la stessa curiosità e senso di scoperta che si ha con la prima opera”.
Damiano D’Innocenzo: “Favolacce è stato visto molto di più, e anche più lodato. Credo che sia sempre la storia a dirti come deve essere raccontata, c’è un istinto nel realizzare un film, che non va mai forzato. “Favolacce” è un’opera in qualche modo grossolana, appunto una favola nera, diametralmente opposta al tono che invece dove avere “La terra dell’abbastanza”.
I fratelli D’Innocenzo: film opposti e complementari
Due clip dei due film mostrano un momento diverso, ma con qualcosa in comune, la scena ad esempio dell’ultima missione dei protagonisti de “La terra dell’abbastanza” e quella della cena in “Favolacce”, dove il bambino rischia di strozzarsi. Entrambi esprimono una tensione, in particolare quella con protagonista Elio Germano rende evidente come il personaggio trasformi il proprio stress in aggressività. Ma ciò che accomuna le due scene è che sono entrambe riprese da molto lontano.
Fabio D’Innocenzo: “il nostro punto di partenza sono sempre le sceneggiature. In “La terra dell’abbastanza” volevamo che si vedesse da lontano in modo che si scoprisse quanto si è piccoli rispetto al resto del mondo. Qualsiasi cosa si stia vivendo siamo tutti un punto minuscolo dell’universo. E volevamo che fosse una sensazione atroce, con molti tempi morti. L’epica nel cinema crime trasmette spesso azione e adrenalina. Ma se invece si vede una situazione apparentemente normale e statica, magari in campagna, è più interessante vedere tutto da lontano, per mostrare la scena nel suo insieme.
Inizialmente in “Favolacce” quella doveva essere la scena d’apertura, l’abbiamo infatti tagliata più volte. Abbiamo usato due macchine da presa arrivando a 14 minuti di girato. Ricordo che abbiamo pensato che fosse eccessiva come prima scena e l’abbiamo messa in un contesto narrativo giù avviato. Non volevamo troppi cambi di piano o tagli di montaggio per non dare quel respiro che ha una scena spezzata, dando appunto importanza ai tempi morti, ragionando su ciò che veramente intrattiene. Non accade tutto subito, si percepisce che sta per succede qualcosa, ma bisogna aspettare che succeda”.
Anche produttivamente questo modo di girare è particolare, perché con un solo ciak siete riusciti ad avere una scena di 14 minuti.
Damiano D’Innocenzo: “sì, noi di solito siamo intransigenti e perfezionisti, e lo stiamo stati soprattuto in “Favolacce”. In “La terra dell’abbastanza” era diverso, molte scene non sono venute esattamente come volevamo. Però quella della cena “Favolacce” ci bastava, era rappresentativa dei personaggi, anche se si trattava di un solo ciak”.
La direzione degli attori
Altre due scene simili sono quelle sul finale dei due film, due momenti di lucidità e consapevolezza. Ad esempio quella del suicidio del personaggio interpretato da Carpenzano e la scoperta del personaggio invece in “Favolacce” interpretato da Elio Germano quando capisce cosa è successo ai figli.
Damiano D’Innocenzo: “le scene emotive non sono mai complicate da recitare. Ad esempio il pianto di un attore non è mai difficile, è il percorso che ti fa arrivare a quel pianto ad esserlo, i momenti precedenti, i respiri e i sospiri. Da parte del regista ci vuole anche un certo pudore per non chiedere niente all’attore. Noi abbiamo dato solo delle indicazioni. Quando hai dei grandi attori devi affidarti alla loro sensibilità”.
Fabio D’Innocenzo: “io amo entrambe le scene, però sono due momenti
nei quali il contesto di sospensione presente nei nostri film si interrompe. A un certo punto si guarda negli occhi la verità, è come se fossero state attivate due sveglie nei quali i personaggi hanno manifestato il proprio dolore. Hanno provato un’inibizione, una voglia di sottrarsi e addirittura negare l’evidenza. Sono due scene simili, che però indagano il dolore in maniera opposta. Queste due scene mi fanno pensare allo sforzo degli attori, che noi abbiamo comunque lasciato molto liberi. Elio Germano è un attore che lavora molto con il corpo. Lui in quella scena ha dovuto raggiungere quell’esaurimento, non l’ha recitato. Noi diamo tanta libertà agli attori però vogliamo anche che loro si mettano a nudo”.
Come avete lavorato con i bambini?
Damiano D’Innocenzo: “i bambini lavorano spesso con l’actor coach, una figura al quale noi ci siamo opposti, perché impone un filtro. I bambini non hanno mai letto la sceneggiatura, gli dicevamo giorno per giorno ciò che dovevano fare, anche le scene più drammatiche. Loro le hanno sempre capite, hanno sentito che c’era del marcio negli adulti e nei genitori rappresentati. Avere il filtro dell’actor coach sarebbe stato diverso, meno naturale”.
Farmacia notturna: il libro dei fratelli D’Innocenzo
Per quanto riguarda invece il vostro lavoro sulla fotografia, come le immagini presenti in Farmacia notturna, il libro che avete pubblicato. Raccontateci qualcosa di questa passione e anche arte nel realizzare queste foto.
Damiano D’Innocenzo: “le foto sono state fatte quasi tutte da Fabio, si capisce tanto di quello che ci interessa da queste immagini. Ad esempio il nostro modo di osservare la vita e gli essere umani, l’andare a cercare quelle piccole verità invisibili che spesso si hanno sotto gli occhi. L’esistenza di tutti è piena di misteri, se qualcosa colpisce e non si riesce a decifrarla, vale la pena immortalarla e portarla con sé. Magari quell’immagine ti ha posto delle domande alle quali un giorno, avendo quella foto con te, troverai risposta. Noi andiamo sempre a cercare quei dettagli intensi che poi tentiamo di trasmettere nei film”.
Erano quasi tutte in formato verticale, sono state realizzate con un i-phone?
Fabio D’Innocenzo: “no, ho utilizzato una macchina fotografica compatta, senza zoom, che ci imponeva anche di avvicinarci molto ai soggetti”.
Tra i vostri registi preferiti, avete detto, i primi sono Billy Wilder per Damiano, e Rainer Werner Fassbinder per Fabio. Le clip però che avete scelto come iconiche e fondamentali nel vostro cinema sono “Taxi Driver” di Martin Scorsese scelta da Fabio e “Il posto” di Ermanno Olmi scelta da Diamano.
Fabio D’Innocenzo: “quello che adoro di “Taxi Driver” è che parla di un reduce del Vietnam che soffre d’insonnia, che fa il tassista e che vive una vita apparentemente tranquilla, sopportabile diciamo. Quindi cosa lo porta a diventare quello che sappiano che diventerà? L’incontro con una donna, non la guerra. La necessità di una connessione, di un contatto umano può spesso portare a qualcosa di straordinario, ma anche a conseguenze terribili. Tutto parte dagli incontri, sono il centro del mondo, ogni cosa scaturisce da due esseri umani che si conoscono, e la vita di uno dei due può avere un corto circuito”.
Qual’è il primo film che voi avete visto?
Damiano D’Innocenzo: “Space Jam e “Titanic”. E in videocassetta “The Outsider”, di Francis Ford Coppola, che ci ha segnato e che ci ha portato a scrivere le sceneggiature dei film”.
Da bambini vedevate tanti film? Voi siete vicini alla generazione dei dvd e anche dello streaming.
Damiano D’Innocenzo: “in realtà noi abbiamo avuto il primo computer a 20 anni, i nostri genitori avevano le videocassette quindi abbiamo visto tanti film in videocassetta. Avremo visto “The Outsider” almeno 100 volte”.
Il film invece scelto da Damiano è uno dei primi di Ermanno Olmi, e si tratta di nuovo di una scena all’interno di un bar.
Damiano D’Innocenzo: “in entrambe le scene ci sono un uomo e una donna che simulano dei modi diversi di stare al mondo, sono quattro personaggi molto diversi, particolari, con una sensibilità differente. In sceneggiatura in queste scene sembra che non accada nulla, ma in realtà c’è tutto, questi due momenti precedono tutto ciò che succede. Sono pieni di dettagli e fanno entrare lo spettatore nella realtà”.
L’ispirazione di due grandi autori
Raccontateci un po’ i vostri gusti cinematografici e cosa vi affascina nel cinema di altri registi e autori
Fabio D’Innocenzo: “nel cinema degli altri ci affascina ciò che c’è da scoprire. Noi siamo ancora spettatori, lo saremo sempre. A noi i film ci hanno salvato la vita, in maniera totalizzante. Il motivo per cui vogliamo essere registi è perché sappiamo l’incidenza che i film possono avere sulle persone, sull’animo degli essere umani. Per noi non esistono contrapposizioni tra film diversi o cinema diversi, sono tutte esperienze, indistintamente. A volte vedendo un film è come se si imparasse qualcosa su esperienze che non si sono ancora vissute, ma che, in qualche modo, attraverso la visione di quel film, sembra di aver provato.
Nella genialità di Fassbinder c’è quella di aver realizzato film variegati, sia successi che fallimenti, ma di aver sempre continuato a girarne. Quello che mi affascina di Fassbinder è il genere che ha sempre trattato, e cioè il melodramma, la storia d’amore. Nel nostro prossimo film tratteremo anche noi di una love story, un genere che io personalmente amo”.
Damiano D’Innocenzo: “il film di Wilder che preferisco è “L’appartamento”, è il film che ho visto più spesso, e che, appunto, mi ha salvato la vita molte volte. I suoi sono film completi, la sceneggiatura è perfetta, non cambieresti nulla. Wilder si prendeva cura degli spettatori, non esagerava mai, non era mai eccessivo”.
In quale film vi piacerebbe vivere?
Fabio D’Innocenzo: ” ne “La vita di Adele”, per il romanticismo, che è incredibile e perché parla anche di una grande fragilità”.
Damiano D’Innocenzo: “in “Lost in traslation”, è un film che parla di tutti noi, che rappresenta delle vite sospese”.
Giorgia Terranova