Il film “G20“, diretto da Patricia Riggen e disponibile su Prime Video, si inserisce in un contesto di crescente scetticismo nei confronti della classe politica. In un periodo in cui l’opinione pubblica è particolarmente critica nei confronti dei leader mondiali, il film affronta tematiche di grande attualità, cercando di mescolare azione e intrattenimento. Tuttavia, la scelta di un soggetto che ruota attorno a un incontro di alto livello come il G20 potrebbe risultare controproducente, rivelandosi un’arma a doppio taglio.
Viola Davis: un’eroina d’azione
Nel film, Viola Davis interpreta la Presidente Danielle Sutton, un personaggio che incarna l’eroismo e la determinazione. La Sutton, ex soldatessa in Afghanistan, ha guadagnato notorietà per le sue gesta eroiche, tanto da apparire sulla copertina del Times. Tuttavia, la sua popolarità è in calo, complicata dalla ribellione della figlia Serena, interpretata da Marsai Martin, che attira l’attenzione dei media con il suo comportamento provocatorio. La trama si sviluppa in vista di un importante incontro del G20 in Sud Africa, dove la Presidente decide di portare con sé la famiglia per cercare di ristabilire un legame con la figlia.
Il film si propone di esplorare il conflitto tra la vita privata e le responsabilità pubbliche, ma la narrazione si complica quando un gruppo di terroristi infiltrati prende in ostaggio i leader mondiali. La mancanza di motivazioni chiare da parte dei cattivi rende la situazione meno coinvolgente, e la Presidente Sutton si trasforma in una problem solver pronta a combattere e risolvere la crisi. La presenza di altri personaggi politici, come il Primo Ministro britannico e la presidente del Fondo Monetario, contribuisce a creare un’atmosfera di tensione, ma la mancanza di empatia verso i politici rende difficile per il pubblico identificarsi con la situazione.
Un’azione forzata e poco coinvolgente
La pellicola si distingue per la sua intenzione di intrattenere, ma il risultato finale lascia a desiderare. La trama, che si ispira a film iconici come “Attacco al potere” e “Air Force One“, sembra ripetere schemi già visti, senza offrire una nuova prospettiva. La differenza principale tra “G20” e i film del passato risiede nel contesto attuale: l’ostentazione della bandiera americana, in un periodo di crisi d’identità, risulta poco convincente. Negli anni ’90, il pubblico poteva identificarsi con l’ideale dell’eroe americano; oggi, la situazione è cambiata e il film sembra non riuscire a cogliere questa evoluzione.
L’azione, pur essendo presente, appare spesso forzata e poco fluida. I momenti di tensione sembrano riempitivi, privi di un reale coinvolgimento emotivo. Viola Davis, nel ruolo di una Presidente d’azione, cerca di catturare l’attenzione del pubblico, ma il tono generale del film oscilla tra il serio e il leggero, senza mai trovare un equilibrio convincente. Questo approccio, calibrato per attrarre un vasto pubblico, rischia di risultare poco autentico, lasciando lo spettatore con una sensazione di insoddisfazione.
Un film nel posto giusto ma nel momento sbagliato
“G20” si presenta come un action movie che, pur avendo il potenziale per intrattenere, arriva in un momento in cui il pubblico è particolarmente critico nei confronti della politica. La scelta di un soggetto che ruota attorno a un incontro di leader mondiali, in un periodo di crescente sfiducia, sembra poco azzeccata. La mancanza di empatia verso i politici, unita a una narrazione poco coinvolgente, rende difficile per il pubblico connettersi con la storia.
Viola Davis, nel suo ruolo di Presidente, dimostra di avere le capacità per interpretare un personaggio forte e determinato, ma il film nel complesso non riesce a trasmettere un messaggio chiaro o a coinvolgere emotivamente lo spettatore. “G20” si configura quindi come un’opera che, pur cercando di affrontare tematiche attuali, non riesce a trovare il giusto equilibrio tra azione e contenuto, risultando in un prodotto che, sebbene ben realizzato, potrebbe non soddisfare le aspettative del pubblico contemporaneo.
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