Il regista Samuele Rossi e il produttore Emanuele Nespeca di “Glassboy” insieme a gran parte del cast principale hanno presentato il film alla stampa.
Glassboy: un film di ragazzi per ragazzi
L’incontro stampa con Samuele Rossi e il cast di “Glassboy” si è concentrato sull’importanza di un fare film che parlasse di infanzia e diversità come unicità, attraverso gli occhi dei bambini, destinato sia ai giovanissimi che al grande pubblico. Unico film italiano presentato al Giffoni Film Festival, è stato premiato alla 24ª edizione del Tallinn Black Nights Film Festival come Miglior film per ragazzi. “Glassboy” arriverà sulle principali piattaforme digitali a partire dal 1º febbraio 2021.
Ecco le domande della stampa
Emanuele Nespeca lei ha prodotto e distribuito sia opere prime e seconde, che pellicole di grandi autori. Basti pensare ad “Arrivederci Saigon”, presentato due anni fa alla Mostra del Cinema di Venezia; perché le è piaciuto questo film e ha scelto questo genere?
Emanuele Nespeca: “‘Glassboy’ in realtà rappresenta la realizzazione di un mio sogno. Quando ho iniziato, nel lontano 2005, desideravo molto produrre film per ragazzi. È un genere che si vede spesso in Europa. Non si solo di storie per ragazzi, ma che siano anche recitate e raccontate dai bambini. Per me è stato il coronamento di un sogno e spero che questo sia il primo di una lunga serie di prodotti della Solaria Film destinato ai bambini. Abbiamo girato in Svizzera e in Austria, facendo di “Glassboy” un progetto internazionale, ma dal gusto e al sapore italiano. È stato un percorso ambizioso, sono state coinvolte tante regioni e abbiamo avuto anche il supporto della Commissione Europea. Stiamo uscendo in digitale, il che in parte è doloroso. Io produco per il cinema, il grande schermo è sempre stato un mio sogno, un mio desiderio e la mia realtà. L’incertezza della riapertura delle sale però non avrebbe permesso l’uscita di questo film. Noi speriamo di ripartire presto e di portare i bambini in sala il prossimo anno”.
Il film ha avuto molti riconoscimenti importanti, considerando anche che si tratta di un genere spesso non molto presente in Italia. Ed è stato anche l’unico film italiano presente al Giffoni Film Festival.
Samuele Rossi: “sì, come diceva prima Emanuele Nespeca è importante che il digitale non raffreddi l’emozione. Io personalmente sono quasi 6 anni che pensavo a questo film e ho iniziato a lavorarci, ho letto il libro nel 2014, e ho inseguito un sogno insieme ad Emanuele. Anche io ho sempre voluto realizzare un film sull’infanzia e fare un genere che troppo spesso è considerato di serie B. È un modo per regalare a tutti un po’ di magia. Credo che scegliere questo cinema, questo genere, il cinema per ragazzi, sia una sfida, la voglia di provare a fare un cinema nuovo e cambiare qualcosa. “Glassboy” è anche un film profetico, parla di un bambino chiuso in casa per una malattia, una situazione sì diversa, ma che tanti ragazzi e tanti bambini stanno vivendo in modo drammatico in questo momento. Molti giovani adesso non hanno la possibilità di vivere fuori, e noi raccontiamo questi giorni, la lotta per uscire, per conquistarsi un posto nel mondo. È un film che alla fine parla a tutti i ragazzi”.
Ricordi e nostalgia
Loretta Goggi, perché hai detto sì a Samuele e cosa ti ha attratto del tuo personaggio?
Loretta Goggi: “il progetto mi è interessato moltissimo fin da subito. Credevo in Samuele Rossi e sapevo che tipo di produttore sia Emanuele, tanto che ho acconsentito senza leggere la sceneggiatura. Mi è piaciuto molto fare quello che facevo da ragazzina, e cioè la tv dei ragazzi. Ci sono cresciuta e credo che questo tipo di cinema e televisione aiuti i ragazzi a crescere, a diventare dei lettori e degli spettatori più pronti e preparati. Ricordo che Samuele dava ad esempio molto importanza al colore dei miei costumi, ogni scena aveva un significato preciso. Mi ha espressamente chiesto di recitare in modo diverso rispetto al solito. Non mi è mai capitato di interpretare una nonna dispotica e arrogante, che usa la sua ricchezza per esercitare il controllo. È una donna che pensa di poter gestire la vita della figlia e del nipote perché conosce la sua malattia. È stato tutto affrontato in maniera sincera e io mi sono trovata benissimo con i ragazzi, dei quali sono stata nonna ed amica”.
Giorgia Wurth come hai approcciato il tuo personaggio e perché hai accettato?
Giorgia Wurth: “‘Glassboy’ è stato un bellissimo viaggio, sia fisico perché a volte sembrava di vivere un documentario di National Geographic per tutti i posti visitati, ma anche emotivo, di testa e di cuore. Sul set c’era molta genuinità ed entusiasmo, non solo perché c’erano tanti bambini e ragazzi che sono dei portatori sani di entusiasmo ed energia, ma perché sono stati capaci di contagiarci tutti. Ci siamo quindi sia impegnati che divertiti. Essere mamma ed essere figlia è una situazione in cui molte persone si possono ritrovare: avere dei figli e avere ancora i propri genitori è un grande privilegio e al tempo stesso una condizione responsabilizzante, come se si fosse tra due poli. Nel caso del personaggio di Elisa, io ero sia la madre che ha vissuto quel dramma, perché ha perso il padre che aveva la stessa malattia di Pino, ma che capisce anche i bisogni del figlio. Pino vuole poter uscire normalmente e avere la sua vita. L’emofilia è una malattia ereditaria, ed Elisa nel mettere al mondo un figlio conosceva tutti i rischi”.
Giorgio Colangeli è quasi un talismano per Samuele Rossi
Giorgio Colangeli: “io ho una grande stima e affetto per Samuele, sin dalla sua opera prima, “La strada verso casa”. Mi piace molto il modo che ha nel guidare e preparare l’attore, la sua attenzione ai minimi dettagli, il fatto che cerca di trovare sempre quel qualcosa in più. Ho incontrato Samuele e letto la sceneggiatura molto tempo fa, ma mi ha colpito fin da subito. Anche io, come Loretta, ho un elemento autobiografico che mi lega al film: ho iniziato con il teatro per ragazzi e ho lavorato in un mondo fervido. Avevo 25 anni e ho dei ricordi bellissimi di quel periodo. E quindi mi piaceva l’idea di realizzare un film che parlasse di bambini e di infanzia. Credo che per i costumi, per la scenografia e per l’intera ricchezza della pellicola, “Glassboy” meriti e abbia bisogno del respiro del grande schermo e spero che possa arrivare in sala prima o poi. Il film è una grande favola, la magia di cui Samuele ha parlato è un modo di rispettare l’infanzia, il magico pensiero di un bambino. Talvolta i bambini sono protagonisti di film non dedicati a loro, e si rischia spesso di darne un’immagine fasulla e precoce; ne capiscono più degli adulti, si scavalca la loro generazione, ci sono sempre genitori assenti e nonni presenti. Mentre qui c’è una nonna che forse è troppo presente, perché in famiglia si sbaglia spesso per troppo amore. Ho trovato “Glassboy” un film coraggioso che, appunto, dice qualcosa in più”.
La naturalezza di ogni personaggio di “Glassboy”
Massimo De Lorenzo, com’è stato interpretare questo personaggio complice di Loretta?
Massimo De Lorenzo: “beh sì, io sono il braccio destro del personaggio di Loretta Goggi, ma in realtà sono quasi peggio di lei. Sono stato ammaliato da regista e dal produttore e dalla sceneggiatura. Spesso i copioni non sono letture semplici, io personalmente fatico a leggerli, ma con questa invece si percepiva subito la chiarezza delle idee e degli intenti. Con Samuele si lavora sui personaggi insieme. Mi ha portato a dare vita a un personaggio attraverso una serie di idee e modalità interpretative che non sapevo neanche di avere. Per non parlare dell’immenso impianto produttivo, siamo stati davvero in tanti posti diversi. Per quanto riguarda il mio ruolo, è un personaggio oscuro, nero, diverso dal solito e soprattuto dalle parti che di solito interpreto”.
Andrea Arru, parlaci di Pino.
Andrea Arru: “Pino è un ragazzino che vive in tutti i noi, è una parte della nostra gioventù. Sfido chiunque a non essersi mai sentito accettato o a non aver mai invidiato qualcuno. Pino vorrebbe fare amicizia con gli Snerd perché per lui l’amicizia è importante, però non vuole andare contro i suoi genitori e compromettere la sua salute”.
Com’è stato lavorare con Samuele?
Andrea Arru: “Samuele ci ha messo tanta passione, fin dai primi provini c’era tanta voglia di fare questo film”.
E invece per Stefano Trapuzzano che interpreta Ciccio e Rosa Barbolini nel ruolo di Mavi, com’è stata quest’esperienza, essere una donna leader a capo di una banda?
Stefano Trapuzzano: “il set è stato incredibile e magico. Era la mia prima esperienza e per me è stato un qualcosa fuori dal normale, tutta la troupe invece è stata come una seconda famiglia, è nato un legame che sta andando avanti nel tempo”.
Rosa Barbolini: “anche per me era la prima esperienza sul set, e non riesco a immaginare di girare questo film senza la nostra troupe, senza tutte quelle persone che comunque si sono affezionate a noi. Abbiamo creato un po’ una famiglia, con qualche litigio e competizione, ma è stato tutto molto naturale. C’è stata questa magia, questo viaggio che ha attraversato tutti noi. Anche quando nuovi attori arrivavano sul set… c’è sempre stata una grande armonia. Essere il capo di una banda è stato come vivere un’esperienza che nella vita reale non sempre capita”,
Coincidenze attuali
“Glassboy” è incredibilmente attuale, rappresenta la sensazione di chiusura e di lontananza che i ragazzi stanno vivendo in tutto il mondo, con la conseguente difficoltà dei rapporti. Si è trattato di una coincidenza? E come vivono oggi i ragazzi questa situazione?
Samuele Rossi: “sì, sicuramente è molto attuale, noi abbiamo finito di girare un mese prima che scoppiasse la pandemia, quindi si è trattata di una triste coincidenza. Pino vede la vita attraverso un monitor, una finestra, senza quella fisicità e realtà fisica che oggi vivono i ragazzi costretti a frequentare la scuola a distanza. Pino vuole andare a scuola, e prima della pandemia poteva essere un paradosso esultare per andare a scuola, per gli amici di Pino sembra assurdo che lui non veda l’ora di frequentarla. Ci sono molti riferimenti al cinema americano, dalla Disney a Spielberg, da Zemeckis al personaggio di Crudelia Demon, da “I Goonies” a “Stand by me”. Volevo trasmettere l’idea che l’infanzia fosse un modo per superare una fragilità, per ritrovare la propria identità. L’infanzia alla fine è una sfida, è la prima volta che si scopre la realtà”
Andrea Arru: “noi come tutti i ragazzi del mondo stiamo soffrendo di questa situazione che ci mette in difficoltà, tornare a scuola sarebbe un punto di svolta, viviamo quasi la stessa situazione di Pino nel film”.
Stefano Trapuzzano: “ne stavo risentendo molto fino alla scorsa settimana, perché erano quasi due mesi che non andavo a scuola, ora è un desiderio, quello di ridere insieme e guardare negli occhi i propri compagni. Io sono tornato al 50%, che è sempre meglio di nulla”.
Rosa Barbolini: “durante la quarantena era un qualcosa che tutti abbiamo vissuto come una situazione d’emergenza, ma ora è diventata la norma vivere attraverso uno schermo ed è sicuramente triste, ma speriamo per il futuro che tutto si risolva presto”.
L’adattamento cinematografico
Samuele Rossi, quali sono gli aspetti del libro che ti hanno attratto di più? Ad esempio è molto presenta anche il tema della diversità che diventa qualcosa di unico.
Samuele Rossi: “sì, diversità e unicità sono altri due temi fondamentali nel film. La diversità è anche ciò che ci rende diversi, unici, che diventa una risorsa. È un qualcosa che definisce Pino e tutti noi, che possiamo essere tanto fragili quanto forti. Io ho sempre pensato che il cinema debba tradire un libro, non nello spirito, ma nella forma: sono linguaggi e dispositivi completamente diversi. Del libro volevo mantenere la forza della drammaturgia, alcuni personaggi e quel tipico sapore da fiaba. Il libro si svolge ai primi del ‘900, ma noi abbiamo voluto portarla ai giorni nostri perché sennò probabilmente sarebbe stato un film per adulti. Nel film tutti i ragazzi sono maschi, io ho voluto trasformare alcuni in delle bambine, e in personaggi di estrazione diversa: ognuno di loro è un omaggio a “I Goonies”. Il focus prioritario era non perdere l’energia e il sapore autentico del libro, e come era stata rappresentata l’infanzia. Lo scrittore è entusiasta del film, era d’accordo e lo ha trovato coinvolgente ed entusiasmante”.
Quali sono state le location e da cosa deriva questo espediente?
Emanuele Nespeca: “noi abbiamo girato dal 1º giorno di settembre 2019, fino a metà dicembre, quindi si tratta di più o meno due mesi di lavorazione. Le località sono state Bracciano, Albenga, Montecatini Terme, Cosenza, Camigliatello, la Sila e l’Austria. La motivazione principale risiedeva nel trasmettere l’immaginario da favola”,
Il film prende in considerazione il passaggio dall’infanzia all’età adulta, ed è evidente la capacità di adeguare il film alle diverse fasi della vita, com il luogo della piazza che infonde un senso di collettività. Che tipo di lavoro è stato fatto con il cast?
Samuele Rossi: “noi volevamo fare un cinema che non si vergognasse di raccontare la storia e non si vergognasse di farlo per il pubblico. Spesso fare un film solo per il pubblico è visto come un difetto, noi volevamo avere la capacità di coniugare qualità e universalità, abbiamo voluto farlo con dignità e voglia di piacere al pubblico in modo autentico. È quello che fa anche il cinema americano; “E.T.” ha avuto un grande incasso, il protagonista è un bambino, ed è definito un film per l’infanzia”
Ci sono dei riferimenti a “Il giardino segreto”?
Samuele Rossi: “ci sono molti riferimenti letterari, noi siamo partiti dalla narrativa, sia nel contenuto che nella forma. Come riferimento specifico non abbiamo preso in esame “Il giardino segreto”, però tutto il nostro lavoro è nato partendo da quel tipo di narrativa, con quella struttura ed entità. Raccontare la malattia non era semplice e non volevamo raccontarla troppo, non voleva sottolinearla; era importante capire che tutti abbiamo delle fragilità, con limiti più o meno marcati. “Glassboy” racconta di un’infanzia che ha una fragilità che deve superare, alla fine è la storia del mondo”.
I bambini che giocano in bicicletta, non usano il telefono e hanno delle espressioni che sembrano appartenere a un’altra epoca, è stata una scelta?
Samuele Rossi: “beh questi bambini non sono il ritratto dell’infanzia di oggi, coesistono entrambe le cose: sia l’idea dell’infanzia di oggi che la nostalgia e la purezza di quello che per me rappresenta l’infanzia. È un incontro tra il linguaggio della realtà e quello della fiaba. Si tratta di bambini di oggi filtrati da un tempo diverso”.
19/01/2021
Giorgia Terranova