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Goksung – La presenza del diavolo (2016)

Recensione

Goksung – La presenza del diavolo: i mille volti dell’horror

Goksung

Il 2016 si è rivelato un anno particolarmente florido per la produzione horror sudcoreana, cui hanno contribuito da una parte Yeon Sang-ho col suo debutto alla regia di un lungo non animato, “Train to Busan”, e dall’altra il maestro del killer thriller Na Hong-jin, che ha offerto, con lo straordinario “Goksung – La presenza del diavolo”, un omaggio estremo, complesso, proteiforme all’horror d’autore, in bilico tra modelli occidentali e orientali, tra cattolicesimo e sciamanesimo. Il risultato: un capolavoro enigmatico, magmatico, reticente a offrire risposte, ma profondo e sfaccettato come riescono a essere solo i grandi classici.

Goksung – La presenza del diavolo (2016)

Xenofobia o angoscia?

Goksung – La presenza del diavolo recensione

Una delle critiche maggiormente rivolte all’opera di Na riguarda l’atteggiamento che pare trasparire dal trattamento narrativo della figura demoniaca al centro (apparente) di tutta la vicenda: il Giapponese, mai meglio identificato, vilipeso e temuto, col quale nessuno, neppure il sergente Jong-goo, sembra voler dialogare.

Il regista, secondo alcuni, sposerebbe la tradizionale xenofobia dei coreani verso i giapponesi – un odio peraltro reciproco, che risale a ben prima delle disgrazie coloniali del secolo scorso e che continua ancora oggi, con un profilo di relazioni diplomatiche tra i due stati che è tutto fuorché sereno. E in un certo senso, le osservazioni possono anche essere fondate: il Giapponese “è” il male, o perlomeno ne è un veicolo, e resta forte il sospetto che “la presenza del diavolo” nel villaggio di Goksung sia in ultima istanza un elemento allotrio, importato da un forestiero che, fosse stato, diciamo, cinese, avrebbe probabilmente rappresentato una minaccia minore. Ma il punto non è equiparare Mefistofele allo straniero: l’uomo-messaggero è temporaneamente vacato dal demonio che lo possiede, e in quei brevi sprazzi di libertà noi vediamo l’angoscia che il male lascia dietro di sé.

Satana è il pescatore, che cerca vittime alla cieca solo per sfamarsi: ma resta il fatto che i pesci debbano temere anche l’un l’altro se intendono sopravvivere.

Un’angoscia dunque generalizzata, che perderebbe metà della propria potenza se Na non si concedesse un discorso complesso, e sfacciatamente metafisico, sulla precisa natura delle forze in campo a Goksung: c’è il demonio, c’è il suo veicolo terreno (il Giapponese deviato), c’è il genius loci che protegge il villaggio finché questo sarà disposto a riporre fiducia nel territorio inteso come stratificazione di vite in un posto, c’è lo sciamano enigmatico e sempre ambiguo nel gioco che conduce, il prete cattolico che si distanzia da quello che non gli compete.

Una riflessione allegorica, fuori tempo massimo, che affascina e chiede allo spettatore una complessa opera di esegesi quasi enciclopedica – per trovarsi, però, di fronte alla sostanziale incomprensibilità di tutta la vicenda. E, dinnanzi a tanta follia, l’aspetto più inquietante, e metacinematografico, del film intero, è che si lascia l’osservatore a domandarsi se, in fondo, il rifiuto del diverso non sia davvero l’unica, credibile soluzione.

Miscugli

Goksung – La presenza del diavolo personaggio

“Goksung – La presenza del diavolo” è tante cose. È, e diremmo soprattutto, un horror nel senso più pieno del termine, capace di spaziare da William Friedkin a George A. Romero, da jacques Tourneur a Sam Raimi, fino alle memorie più grigie di certi esiti da primi anni Duemila. È quindi una storia di zombi, di fantasmi, di possessioni, di epidemie, di demoni.

Un folk horror, a tratti, e una messa in scena della religione nelle sue vesti più complesse. Ma è anche un giallo tradizionale, quasi un whodunnit che talvolta sfora nella commedia, nella buddy comedy, nella farsa poliziesca. Ed è un thriller, un film d’azione.

Piani magistralmente ricondotti a unità nel caos esistenziale impersonato da Kwak Do-won, qui in una prova di recitazione straordinaria.

Miscugli di generi sovraccaricati sulla stessa struttura narrativa, che, come per miracolo, riesce a non restarne schiacciata, deformata, ma quasi trae vigore da questa stravaganza. E la confusione (apparente) di stili corrisponde intimamente alla confusione nella quale rimane lo spettatore/Jong-goo: incapace di fidarsi di alcuno, strattonato tra le mille voci che si professano sincere, il malcapitato è spaesato in quanto perde di vista la propria posizione rispetto agli altri e al mondo. E si sa, da che horror è horror, è più facile essere mangiati se ci si perde nel bosco.

Un invito alla xenofilia

Goksung – La presenza del diavolo scena

Na Hong-jin è qui alla sua terza prova di regia, dopo “The Chaser” (2008) e “The Yellow Sea” (2010). Con “Goksung – La presenza del diavolo”, la sua complessa operazione artistica ha assunto tratti nuovi, inattesi, dimostrandosi capace di affrontare la tematica orrorifica con uno spirito fortemente innovativo e risultati fotografici e narrativi straordinari.

La pellicola, in barba a chi la considera un manifesto di odio tra vicini, è singolarmente capace di sintetizzare stimoli orientali e occidentali offrendo un risultato folgorante, che mantiene il proprio equilibrio (pur cambiando moltissimo nel ritmo) attraverso 156 minuti di durata.

L’invito per tutti è di riscoprire una grande gemma dell’estremo contemporaneo, e raccogliere con questa gli echi, potentissimi, che in lei provengono da tutto il mondo.

Lorenzo Maselli

Trama

  • Titolo originale: Gokseong
  • Regia: Na Hong-jin
  • Cast: Do Won Kwak, Hwang Jeong-min, Woo-hee Cheon, Woo-hee Chun, Han-Chul Jo, Jeong-min Hwang, So-yeon Jang, Han-Cheol Jo
  • Genere: Drammatico, colore
  • Durata: 156 minuti
  • Produzione: Corea del sud 2016

Goksung – La presenza del diavolo poster“Goksung – La presenza del diavolo” è un film horror diretto da Na Hong-jin, presentato Fuori Concorso al Festival di Cannes 2016, e nella sezione After Hours del 34° Torino Film Festival.

Goksung – La presenza del diavolo: la trama

Il poliziotto Jong-goo (Kwak Do-won) abita nello sperduto paesino di Goksung, dove verosimilmente nulla è mai avvenuto che abbia potuto turbare la quiete della vita rurale e contadina. Ad un tratto, però, un’incomprensibile epidemia comincia a diffondersi tra gli abitanti, cagionando in loro uno stato di alterazione psicologica tale da indurli a massacrare le proprie famiglie.

Jong-goo, che dapprima aveva derubricato a mere superstizioni le dicerie dei suoi compaesani circa un misterioso Giapponese (Jun Kunimura) che, a loro avviso, sarebbe stato alla radice della disgrazia, diventa sempre più sospettoso nei confronti dell’uomo, soprattutto quando sua figlia Hyo-jin (Kim Hwan-hee) rimane affetta dallo stesso inspiegabile morbo.

Nel frattempo, una misteriosa presenza femminile (Chun Woo-hee) sembra seguire la vicenda come di lontano, senza rendere palese sin da subito se il suo sia uno sguardo benevolo o meno. Lo sciamano Il-gwang (Hwang Jung-min) sarà capace di salvare il villaggio dalle tenebre, e la figlia di Jong-goo dal suo terribile destino?

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