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Gravity – Recensione

Da grande farò l’astronauta! Mmmh… forse è meglio il calciatore

Regia: Alfonso Cuarón – Cast: Sandra Bullock, George Clooney – Genere: Thriller, colore, 92 minuti – Produzione: USA, 2012 – Distribuzione: Warner Bros Italia – Data di uscita: 3 ottobre 2013.

gravity-locAlfonso Cuaròn è un moderno regista di genere, poco prolifico e approdato tardi nelle grandi produzioni, ma assai interessante nel suo reinterpretare il filone sci-fi, arricchendone i contenuti con una grande attenzione agli aspetti psicologici dei protagonisti, all’interno di uno scenario futuristico come nei “Figli degli uomini” o spaziale come in questo “Gravity”.

Stavolta nessun alieno incazzoso, nessuna intelligenza artificiale, nessuna star war, ma un piccolo space shuttle in una normale missione intorno alla Terra con a bordo un manciata di astronauti “operai”, i quali quasi subito vengono ridotti a due unità a causa della pioggia di detriti proiettili che provengono dal guasto di un altro satellite e distruggono la loro navicella, uccidendo il resto dell’equipaggio. Scollegati da Houston, la novizia ingegnera Ryan Stone e il navigato Matt Kowalski si trovano quindi dispersi, cercando di sopravvivere alle condizioni estreme dello spazio profondo e alla solitudine che la meravigliosa vista del Pianeta Terra, così vicino eppure cosi lontano, contribuisce ad acuire.

Per la prima volta Cuaròn ci mostra da vicino, anzi spesso con gli stessi occhi dei protagonisti, la dura condizione di vita degli astronauti che, diversamente dalla classica iconografia di supereroi, si muovono spesso come inermi palloncini in balia della gravità, la cui vita può dipendere da un cavo male agganciato o dal tasto sbagliato di un complicatissimo computer di bordo. Ma soprattutto ci fa vedere che sotto la supertecnologica corazza che li protegge, sono esseri umani con i loro sentimenti, le loro fragilità, i loro demoni del passato che inevitabilmente finiscono per riemergere.

Più che sugli attori (Clooney al solito gigione, mentre Sandra Bullock rimanda alla muscolarità neversurrending della Weaver alieniana), per forza di cose mortificati dallo stare quasi costantemente dentro degli scafandri con dialoghi il più delle volte fuori campo, “Gravity” ha la sua forza nella regia che ti trascina letteralmente in mezzo allo spazio con spericolati piani sequenza in cui la camera volteggia insieme ai due astronauti, dentro e fuori la navicella. Il finale, forse retorico, diventa però consolatorio e necessario all’appagamento dello spettatore, sfinito da un’ora e mezza di totale immedesimazione psicologica e fisica, grazie ad un 3D mai cosi efficace e coinvolgente.

Vassili Casula

Gravity – Recensione

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