- Regia: Genndy Tartakovsky
- Cast: Mel Brooks, Adam Sandler, Selena Gomez, Steve Buscemi, Andy Samberg, Kevin James, David Spade, Fran Drescher, Keegan Michael Key, Chris Kattan, Julia Lea Wolov
- Genere: Animazione, colore, 89 minuti
- Produzione: USA, 2015
- Distribuzione: Warner Bros
- Data di uscita: 8 ottobre 2015
“Hotel Transylvania 2”: si stava meglio quando si stava peggio
Dracula, ormai nonno, cerca di accettare il fatto che il suo adorato nipotino potrebbe non diventare mai un vampiro. Nel frattempo, Mavis, contro il parere di suo padre e di Johnny, pensa di abbandonare la Transilvania per stabilirsi negli Stati Uniti.
“More of the same” è l’espressione con cui gli inglesi indicano la riproposizione pedissequa di uno schema con lo scopo esatto di ottenere a un secondo tentativo gli stessi risultati del primo. Potrebbe essere tradotta con il nostrano “squadra che vince non si cambia”, ma ha una sfumatura più cinica.
“More of the same” sembra essere il diktat dei realizzatori di “Hotel Transylvania 2”: con un budget ovviamente più alto rispetto al primo capitolo – le panoramiche digitali che spesso aprono le sequenze prima che ci si concentri sui protagonisti sono mozzafiato – i produttori hanno voluto che al pubblico fosse raccontata nuovamente una divertente storia di accettazione della diversità.
“Hotel Transylvania 2” è infatti un film che nasce con l’intento di far ridere i bambini cercando di impartire loro una lezioncina, niente di più, e non è detto che questo sia un male. A differenza della Disney e della sua divisione Pixar, che cercano di dare più strati e livelli ai loro prodotti, la Sony Pictures Animation ha seguito in questo caso la strada della Dreamworks e ha prodotto un film d’animazione di una fruizione piuttosto immediata.
Non a caso rispetto al primo episodio è stato confermato solo uno dei due sceneggiatori: Robert Smigel, autore principalmente televisivo, sceneggiatore del capolavoro del nonsense “Zohan – Tutte le donne vengono al pettine”. L’altro, l’esodato, è Peter Baynham, autore più “scomodo” del suo ex collega; sua la firma in calce a copioni come quelli di “Alan Partridge: Alpha Papa”, “Brüno” e “Borat: Studio culturale sull’America a beneficio della gloriosa nazione del Kazakistan”. A sostituirlo, Adam Sandler, qui anche produttore e doppiatore di Dracula.
Come il suo personaggio, Adam Sandler è un passatista, un uomo che dimostra molti più anni di quelli che ha non appena apre bocca, che passa il tempo a lamentarsi che ai suoi tempi si stava meglio, che recita sempre le stesse quattro battute e che odia profondamente tutto ciò che può essere moderno. Con il suo inserimento in fase di sceneggiatura si è probabilmente voluto smorzare qualche tono e puntare esclusivamente su alcuni tratti tipici dei film che vedono il comico statunitense come protagonista (incluso “Hotel Transylvania”): battute superficiali, personaggi che cantano e ballano senza alcun motivo, una feroce critica di social media e tecnologia.
“More of the same”, si diceva. Evidentemente Sandler e il suo team hanno pensato che a fare il successo del primo film fossero stati i tratti appena elencati. Niente di più sbagliato. A rendere unico “Hotel Transylvania” fu, nonostante gli obiettivi di Sandler & Co., la mano straordinaria di Genndy Tartakovsky.
Genndy Tartakovsky: un genio alla regia di “Hotel Transylvania 2”
Genndy Tartakovsky, mente dietro prodotti che hanno rivoluzionato i cartoni animati televisivi come “Il laboratorio di Dexter” e “Samurai Jack”, conosce perfettamente il valore del concetto di “azione”. Ogni volta che un attore sente quelle sei lettere in fila una dietro l’altra, è finalmente libero di staccarsi dal copione e passare dalle parole ai fatti. In “Hotel Transylvania 2” Tartakovsky sceglie di fare esattamente la stessa cosa: si stacca dal copione passando dalle parole ai fatti, all’azione. Mentre per “Hotel Transylvania” l’animatore americano di origine russa si era contenuto, fornendo una solida regia al servizio di una storia lineare, in questo secondo capitolo la sceneggiatura viene totalmente annullata dalla sua gestione dello spazio e del tempo.
Nel 1968, Blake Edwards e Peter Sellers avevano sorpreso il mondo con la commedia perfetta: “Hollywood Party”. In “Hollywood Party” la gag, la trovata, era gestita con una precisione svizzera, nulla era lasciato al caso. Proprio per la perfetta sincronia di tutti i movimenti sul set i due furono capaci di far ridere gli spettatori con quello che succedeva sia in primo piano che sullo sfondo.
Genndy Tartakovsky tiene a mente il loro insegnamento e riesce a sopperire alle mancanze di una sceneggiatura che si ripete di continuo. Così, le due feste che non hanno molto motivo di esistere se non quello di dare un inizio e una fine gioiosi al film, si trasformano in una sorta di citazione del capolavoro di Edwards, con i corpi dei personaggi che sbattono ovunque, si scontrano, si schiacciano, si fondono. Laddove i già citati film della Pixar cercano di costruire regni verosimili, Tartakovsky si appoggia invece al puro e paradossale slapstick. La tecnica dello “squash and stretch” (schiaccia e stendi) permette all’animazione di andare oltre le possibilità della realtà: anche per merito di un character design più estremo rispetto al primo film, tutti i personaggi sono in continuo movimento, cambiano continuamente forma, sono appunto in “azione”.
“Hotel Transylvania 2”: una narrazione fuori dal comune
Con un espediente molto simile a quello adottato da George Miller per il suo “Mad Max: Fury Road”, Genndy Tartakovsky sceglie di porre i protagonisti sempre al centro dell’inquadratura. In questo modo lo spettatore segue senza affaticarsi lo svolgersi precipitoso delle azioni mentre ride di gusto per l’incredibile quantità di trovate e invenzioni visive che si svolgono in secondo piano. Gli occhi di chi osserva vengono fiaccati solo da un inutile 3D, ormai obbligatorio quando si manda in sala un cartone animato.
“Hotel Transylvania 2” è anche figlio dei Monty Python. La tecnica summenzionata dello “squash and stretch” viene applicata dal regista persino ai tempi della narrazione. Scene affastellate di battute e azioni sono seguite da altre in cui dominano la lentezza e la sospensione, che a loro volta vengono interrotte da un’esplosione improvvisa, proprio come nei famosi sketch del gruppo comico inglese.
Dispiace venire a sapere che Genndy Tartakovsky non dirigerà “Hotel Transylvania 3”. Il regista ha abbandonato gli studi della Sony Pictures Animation dopo l’annullamento del suo ultimo progetto, un film animato in computer grafica su Braccio di Ferro.
Una nota finale merita il doppiaggio. “Hotel Transylvania” aveva stupito molti con un buon adattamento dall’inglese e con la scelta di due attori (Claudio Bisio e Cristiana Capotondi) che non solo non avevano rovinato il lavoro dei loro colleghi d’oltreoceano, ma l’avevano anche – soprattutto nel caso di Bisio – reso più interessante.
In “Hotel Transylvania 2” esordisce come voce italiana di Mel Brooks Paolo Villaggio, che non riesce a convincere come i suoi due colleghi. Il problema non risiede nella bravura, di cui Villaggio ovviamente abbonda, ma nella riproposizione di una parlata ‘alla Fantozzi’ che gli spettatori più piccoli non possono comprendere e che distrarrà i più grandi, che ricorderanno con più piacere l’occasione in cui Fracchia sfidò un vampiro, non quella in cui gli prestò la voce.
Jacopo Angelini