Recensione
I miserabili: nuovi scontri e barricate
Dopo più di 150 anni dalla pubblicazione del capolavoro di Victor Hugo, Ladj Ly decide di dirigere un’opera profondamente radicata nel presente, raccontando le nuove barricate e gli scontri sociali di oggi, prendendo in prestito un nome importante ed evocativo: “I miserabili”.
Il film comincia con l’atmosfera festosa dei mondiali di calcio, unico momento in cui si percepisce uno spirito di fratellanza. Subito dopo infatti si continua con una panoramica della periferia di Montfermeil, dove lo scrittore aveva ambientato alcune scene del suo romanzo e dove comincia il primo giorno di lavoro dell’agente Ruiz. La giornata però si rivela molto più movimentata del previsto a causa del furto di un leoncino di uno zoo che scatena l’ira del proprietario. A cercare di sedare gli animi interviene la sua squadra, formata dall’arrogante Chris e da Gwada. Ma la situazione sfugge presto di mano e le cose invece che sistemarsi si complicano.
Dopo una sorta di tour in cui allo spettatore, insieme a Ruiz, viene presentato il contesto, dalla seconda metà il film prende ritmo fino a un finale molto aperto che lascia con un dubbio bruciante. Una scelta perfetta, che permette di non dare risposte ma far nascere nuove domande. L’obiettivo del regista infatti non è dividere in maniera netta tra buoni e cattivi, ma raccontare una realtà in cui tutti sono colpevoli e innocenti al tempo stesso. Non a caso il film si chiude con una significativa citazione dal libro da cui prende il nome: “Non ci sono né cattive erbe né uomini cattivi. Ci sono solo cattivi coltivatori”.
Lo sguardo dei bambini per raccontare la periferia
Ladj Ly aveva già raccontato i disordini sociali nel documentario “365 jours à Clichy-Montfermeil”, e ne “I Miserabili”, sua prima opera di finzione, riprende uno stile documentaristico, mostrando una realtà divisa da continui scontri interni che sfociano spesso nella violenza. I bambini, definiti microbi più di una volta, crescono in una periferia degradata, giocando in mezzo a oggetti abbandonati e cominciando presto a mettersi nei guai. Spesso a pagare per la violenza circostante sono proprio loro, che guardano ciò che accade dall’alto e lo filmano scatenando la reazione degli adulti, che si macchiano di azioni criminali anche quando dovrebbero stare dall’altra parte della barricata. I poliziotti infatti commettono un grave errore, ma non vengono puniti e questo fa scattare il pericoloso meccanismo della vendetta.
Da questo punto di vista i leoni del circo rappresentano una metafora efficace di questa parte della società ingabbiata entro i confini della periferia, che coltiva una rabbia repressa che sfocia in violenza che a sua volta ne genera altra, e finisce anche in uno scontro tra emarginati. Come esprime la scena in cui il bambino che ha rubato il cucciolo si trova di fronte al leone adulto. Così come la figura di Gwada un poliziotto di colore che in quella periferia è cresciuto, ma che adesso si trova dall’altra parte finendo per perpetuare lo stesso odio e lo stesso schema di sopraffazione, da cui probabilmente lui aveva cercato di tirarsi fuori.
Un film che non vuole dare risposte
Ma rispetto al tempo di Hugo una cosa importante è cambiata. Si tratta della tecnologia, utilizzata sempre dai ragazzini. Ed è proprio questa che metterà a rischio l’impunità degli agenti. Un drone ha filmato ciò che hanno fatto al piccolo Issa e allora comincia l’inseguimento a un altro bambino per evitare che consegni il filmato nelle mani sbagliate causando problemi. Tutti finiscono per interessarsi a quel filmato per ragioni diverse, i poliziotti per evitare guai e altre gang per ricattarli.
Ciò che emerge in questo modo è la complicità delle forze dell’ordine con alcune figure di potere delle periferie, che cercano di tenersi buone per ricevere in cambio favori e aiuto in simili situazioni. D’altra parte chi cerca di tirarsi fuori da questo giro non viene visto di buon occhio né dagli agenti né dagli altri membri del quartiere. Mentre quasi a nessuno sembra importare di quei bambini, che allora decidono di unirsi e farsi giustizia da soli.
Maria Concetta Fontana
Trama
- Titolo originale: Les Misérables
- Regia: Ladj Ly
- Cast: Damien Bonnard, Alexis Manenti, Djibril Zonga, Issa Perica, Al-Hassan Ly, Steve Tientcheu, Jeanne Balibar, Sofia Lesaffre, Alexandre Picot
- Genere: Drammatico, colore
- Durata: 100 minuti
- Produzione: Francia 2019
- Distribuzione: Lucky Red
- Data di uscita: n/d
Presentato al Festival di Cannes 2019, in cui ha vinto il Premio della giuria, “I Miserabili” non è l’ennesimo remake di uno dei romanzi cardine dell’Ottocento (ultimo il musical “Les Misérables” con protagonisti Hugh Jackman, Russel Crowe e Anne Hathaway), ma si ispira a fatti di cronaca molto più recenti. Il regista Ladj Ly sceglie di dare alla propria opera di esordio un titolo importante, prendendolo in prestito dal capolavoro di Victor Hugo, citato nelle scene finali e di cui eredita la necessità di offrire un affresco della complessità del suo tempo.
I Miserabili: le lotte sociali continuano
Nel quartiere periferico di Montefermeil gli scontri tra le gang del posto, insieme alla fuga di un cucciolo di leone da un zoo, scatenano una guerriglia che causa scompiglio nella capitale francese. Così durante i suoi primi giorni di servizio l’agente Stephan si trova già a doversi misurare con una situazione ricca di tensioni sociali e razziali che sfociano spesso nella violenza.
I Miserabili: cast
Dopo aver co-diretto insieme a Stéphane de Freites il corto intitolato “A voce alta – La forza della parola”, opera del 2017 presentata in Italia al Torino Film Festival, in cui raccontava già di periferie e gruppi multietinici, “I Miserabili” rappresenta il suo esordio alla regia di un lungometraggio.
A interpretare il personaggio protagonista è l’attore Damien Bonnard, che ha recitato in “Quello che non so di lei” di Roman Polanskj e nel 2019 ha ricevuto la nomination al premio César come Miglior Interprete Non Protagonista per il film “Pallottole in libertà” di Pierre Salvadori. Bonnard inoltre ha avuto una piccola parte anche nel film di Christopher Nolan “Dunkirk”.