Recensione
Il Clan – Recensione: una storia vera che indaga sull’animo umano
Primi anni ’80: l’Argentina muove i primi ed incerti passi verso la democrazia dopo la caduta della dittatura militare. Il cruciale passaggio storico si ripercuote anche sui Puccio, famiglia all’apparenza tranquilla e appartenente alla media borghesia. Arquimedes, il capo famiglia, non vuole in alcun modo perdere il benessere sociale acquisito durante il regime appena collassato al quale aveva offerto i suoi servizi e tutto il “know-how” appreso in precedenza attraverso pratiche poco lecite coperte dai militari, viene tradotto in una redditizia e criminale attività di sequestri di persone ricche.
Ispirato a fatti realmente accaduti, “Il Clan” descrive in maniera minuziosa le conseguenze della dittatura argentina mediante la prospettiva della famiglia Puccio che vive agiatamente grazie a sequestri, estorsioni ed omicidi. I sussulti narrativi generati da azione, suspence ed intrigo fanno da contraltare alle pacate cronache familiari, provocando una senso di smarrimento etico. La semplicità con la quale si oltrepassa il confine della moralità per mantenere il proprio livello nella società suggerisce raccapriccianti considerazioni sull’animo umano e le sue disoneste declinazioni.
Il Clan: differenze generazionali e la lotta tra passato e presente
La spietata determinazione di Arquimedes contrapposta ai dubbi del figlio maggiore Alex coinvolto dal padre nelle terribili azioni del “Clan”, rilascia una versione nefasta del passaggio di consegne tra una generazione e l’altra. Come il suo popolo liberatosi dall’oppressione dei militari, Alex, astro nascente del rugby argentino, è proiettato nel futuro, sogna l’amore e una nuova vita. Il padre, però, lo costringe a far parte delle sue malefatte come in una prolungata e angosciante metafora di una nazione che non riesce a scrollarsi di dosso l’oscuro passato e che tentenna al cospetto del presente.
Il ritratto messo a punto poteva essere perfetto, ma sfiora il colpo di grazia: la regia e la narrazione colpiscono per una qualità sopraffina se non che Pablo Trapero nei momenti topici del film decide di depotenziare il racconto sminuendo alcuni passaggi chiave. A volte la colpa risiede in un’esagerata disinvoltura nell’utilizzo delle musiche nei momenti di maggior pathos, in un’altra occasione è un montaggio che indugia troppo nell’alternanza tra scene di sesso e scene di violenza a lasciare l’amaro in bocca.
Nel complesso “Il Clan” è un buon film che, pur godendo di una sana e robusta costituzione, fa fatica a diventare grande.
Riccardo Muzi
Trama
- Titolo originale: El Clan
- Regia: Pablo Trapero
- Cast: Guillermo Francella, Peter Lanzani, Lili Popovich, Gastón Cocchiarale
- Genere: Thriller, colore
- Durata: 108 minuti
- Produzione: Argentina, Spagna, 2015
- Distribuzione: 01 Distribution
- Data di uscita: 25 Agosto 2016
“Il Clan” del regista Pablo Trapero è ispirato alla vera storia del clan Puccio – una famiglia argentina ricca e importante che negli anni ottanta gestiva l’attività dei rapimenti- responsabile, tra il 1982 e il 1985, di almeno quattro omicidi.
I Puccio erano una normale famiglia argentina, proveniente dal tradizionale quartiere di San Isidro, con l’aspirazione di accrescere il loro livello economico e sociale e salire d classe. Nel 1982 però, Arquímedes Puccio (Guillermo Francella), il patriarca della famiglia, che lavorava per i servizi segreti del Paese, viene licenziato per la pace ritrovata. In seguito a questo evento decide di sfruttare le sue abilità e diventare così un criminale. Inizia così a rapire persone, in particolari giovani altolocati, chiedendo in cambio del rilascio un oneroso riscatto e ricattando nelle più variegate maniere la sventurata famiglia. Alejandro Puccio (Peter Lanzani), il più giovane figlio di Arquímedes – una star del rugby che milita nella nazionale Argentina – decide di entrare negli affari paterni, aiutando l’uomo ad identificare potenziali ostaggi, traendo vantaggio dalla sua popolarità e dalle sue illustri amicizie.
Gli ostaggi rapiti dal clan Puccio venivano tenuti prigionieri nella casa di famiglia ma, dopo il pagamento, non venivano rilasciati bensì giustiziati a sangue freddo.
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