Il documentario “Il mestiere di vivere“, diretto da Giovanna Gagliardo, rappresenta un’importante occasione per approfondire la figura di Cesare Pavese, uno dei più influenti scrittori del Novecento italiano. Presentato nella sezione Concorso Documentari del Torino Film Festival, il film si apre con suggestive atmosfere che evocano il mondo dello scrittore, culminando nella triste narrazione della sua tragica fine avvenuta il 27 agosto del 1950. Attraverso una narrazione visiva e sonora, il documentario esplora non solo la biografia di Pavese, ma anche il suo profondo legame con la città di Torino, la cui essenza permea il suo operato e la sua esistenza.
Un inizio inquietante
L’apertura del film è caratterizzata da un’atmosfera tesa, culminante in un buio schermo affiancato dal suono della macchina da scrivere. Questa scena non vuole solo rievocare la figura di Pavese, ma evocare anche i pensieri che hanno accompagnato gli ultimi istanti della sua vita. La regista ci conduce nella mente dello scrittore tramite le sue lettere, in cui riflette su una vita di solitudine e ricerca, esprimendo pensieri di intenso malessere. In questo modo, Gagliardo porta alla luce l’umanità di Pavese, colto nel suo momento più vulnerabile. Lo scrittore attraversa le vie di Torino, cercando connessioni che sembrano permanenti, ma che alla fine si rivelano fugaci e deludenti. Il racconto della sua vita prende avvio dall’epilogo, ma si sviluppa in un affresco che mette in risalto la sua modernità e il suo impatto duraturo sulla letteratura.
La fondazione Cesare Pavese e la sua eredità
Il documentario non si limita a narrare i tratti salienti della vita di Pavese, ma include anche riferimenti fondamentali alla Fondazione Cesare Pavese. Questo ente è dedicato alla conservazione e alla valorizzazione del lascito culturale del grande scrittore. Gagliardo utilizza questo elemento per sottolineare l’importanza dell’eredità di Pavese, che non si limita ai suoi scritti, ma si riflette anche nel territorio che lo ha accolto. Attraverso diverse scelte artistiche, l’autrice mira a sottolineare come le opere di Pavese continuino a risuonare nel presente, toccando tematiche universali come la solitudine, la ricerca di identità e il senso di appartenenza.
Pavese si distinse in una varietà di ruoli, dalla poetica alla narrativa, fino ad arrivare alla traduzione e al coinvolgimento nel panorama cinematografico. La sua capacità di attraversare questi ambiti è ben rappresentata nel documentario, che rievoca momenti significativi della sua carriera, come la fondazione della casa editrice Einaudi. Tuttavia, l’opera di Gagliardo si sofferma anche sulle delusioni personali e sulle ferite inflitte dall’amore, elementi che hanno influenzato profondamente il suo lavoro. Questa combinazione di biografia e analisi delle opere permette una visione articolata della figura di Pavese, capace di attrarre sia il pubblico affezionato sia i neo-approcciati alla sua letteratura.
L’approccio narrativo e visivo
“Il mestiere di vivere” è una produzione di Luce Cinecittà realizzata con il supporto della Film Commission Torino Piemonte. La struttura del documentario si snoda attraverso vari capitoli, ognuno dei quali esplora differenti “mestieri” di Pavese, dal poeta allo scrittore. Sebbene ricco di spunti, il documentario presenta una narrazione che, sebbene canonica, riesce a restituire la complessità dell’essere Pavese. L’uso di interviste, immagini di repertorio e ricostruzioni del periodo storico in cui lo scrittore visse, racchiude una visione ampia e sfumata dell’intellettuale torinese.
Tuttavia, alcuni critici hanno notato un approccio visivo e narrativo che potrebbe sembrare troppo tradizionale e non sufficientemente innovativo rispetto alla modernità del protagonista. La scelta di tonalità bianco e nero e di registrazioni che richiamano un linguaggio cinematografico classico potrebbe risultare in contrasto con il messaggio di avanguardia e profondità che Pavese trasmette nella sua opera. Questo uso della forma potrebbe limitare la piena espressione della vita e del pensiero di uno scrittore che ha sempre cercato di abbattere le barriere della semplicità interpretativa.
Un ritratto complesso
La voce narrante del documentario tenta di portare il pubblico a una comprensione più profonda del messaggio di Pavese. Tuttavia, è evidente che il tono impostato della voce fuori campo, insieme alla scelta stilistica del film, non sempre riesce a trasmettere la fluidità e l’immediatezza della scrittura di Pavese. La mancanza di una narrazione organica e coinvolgente fa sì che, nonostante la ricchezza contenutistica, il racconto appaia a tratti didattico. Ulteriori elementi visivi potrebbero rendere questo approfondimento più immediato e potente, consentendo agli spettatori di abbracciare la modernità di Pavese non solo attraverso i suoi testi ma anche attraverso l’esperienza visiva.
Infine, “Il mestiere di vivere” rappresenta un’opportunità preziosa per riflettere sulla vita di Cesare Pavese, sull’impatto delle sue opere e sul suo legame indissolubile con Torino. Anche se il film può presentare alcune lacune in termini di approccio narrativo, rimane un’importante testimonianza della figura di uno degli scrittori più significativi dell’Italia contemporanea. La complessità e la bellezza del suo lavoro non possono che continuare a ispirare generazioni di lettori e scrittori.