“Il leone del deserto” è una pellicola che fu censurata e osteggiata in Italia per colpa del tema affrontato: i crimini di guerra degli italiani in Libia sotto il fascismo
(Lion of the Desert) Regia: Moustapha Akkad – Cast: Anthony Quinn, Oliver Reed, Rod Steiger, Irene Papas, John Gielgud, Raf Vallone – Genere: Guerra, colore, 172 minuti – Produzione: USA, Libia, 1981.
Quando Il colonnello Gheddafi è atterrato a Roma i giorni scorso aveva in bella mostra sulla divisa una fotografia dell’eroe nazionale libico Omar al Muktar. E proprio alla sua storia e agli orrori di cui sono resi colpevoli i militari italiani in Libia tra il 1929 e il 1931 è dedicato il film di Moustapha Akkad “Il leone del deserto”, girato dal produttore esecutivo della saga horror di “Halloween” nel lontano 1981.
Finanziato dal raiss Muammar Gheddafi in persona e costato ben 35 milioni di dollari è stato uno degli ultimi film censurati in Italia per ragioni politiche e non religiose. Tutto questo perché a detta di Giulio Andreotti danneggiava l’onore dell’esercito italiano. Contro l’opera fu persino intentato un processo di vilipendio delle Forze Armate. Morale della favola, nessuna distribuzione nelle sale, dopo un buon successo a Cannes nel 1982 e soltanto una serie di proiezioni quasi clandestine, di cui una a Rimini Cinema del 1988.
Addirittura solo un anno prima era intervenuta persino la Digos quando la pellicola era in programma a Trento ad un meeting pacifista. Da allora, il film era sparito ed era scaricabile solo su internet. Questa la difficile storia del “Leone del deserto”, che si potrebbe definire il racconto di una pagina oscura della storia italiana e del ventennio fascista. Di cui si parla nel libro del 2005 di Eric Salerno “Il genocidio in Libia visto da Eric Salerno”.
Il film si apre con le note di “Giovinezza” che fanno da colonna sonora a momenti poco vittoriosi dei nostri. Un Mussolini di maniera interpretato da Rod Steiger, già Duce per Lizzani, chiama a rapporto il sanguinario generale Graziani per sconfiggere i ribelli libici guidati da Omar al Muktar, anziano professore di religione. La guerra dei partigiani arabi e berberi contro i loro occupanti dura da ben vent’anni. Tra mille difficoltà, l’impresa andrà a buon fine, ma pochi beduini male armati e coraggiosi daranno del filo da torcere ad un esercito numeroso e dotato di carri armati e armi moderne. Sarà un vero e proprio genocidio, in cui moriranno tra stenti e malattie almeno centomila persone, comprese donne e bambini chiusi in terribili campi di concentramento nel deserto. Queste scene ricordano molto da vicino quelle del film sul genocidio armeno “La masseria delle allodole” dei fratelli Taviani.
La tragedia della guerra s’incrocia per tutta la durata dell’opera con le vicende dei protagonisti, di una giovane vedova e del suo piccolo Alì e della coraggiosa Mabrouka interpretata da Irene Papas. Il capo dei ribelli è un uomo saggio e mite ma al tempo stesso eroico, un perfetto Anthony Quinn, che salva la vita ai prigionieri e che muore con dignità dopo un processo farsa. Non tutti i militari italiani sono crudeli, ce ne sono alcuni che resistono all’orrore in cui sono caduti. La ricostruzione storica è piuttosto fedele a parte un paio di scene volute da Gheddafi per screditare il re Idris capo dei Senussi, in seguito cacciato dallo stesso dittatore dopo il suo avvento.
In buona sostanza “Il leone del deserto” è un film sicuramente di parte e attraversato dalla retorica, ma gli va dato il merito di aver riportato alla luce crimini di guerra che per troppi anni erano rimasti nascosti. E sembra quasi che per noi la Libia sia stato quasi una sorta di Vietnam. Basta sostituire la giungla e il delta del Mekong con il deserto e le montagne libiche. Per ironia del destino, il regista siriano Mustafà Akkad è morto con la figlia nel 2005 durante un attentato di Al Qaeda in Giordania ad un matrimonio in cui era ospite.
Ivana Faranda