Dopo aver concorso al Festival di Cannes del 2017 per la Palma d’Oro, “Il mio Godard” è stato presentato oggi alla stampa presso la Casa del Cinema di Roma; in sala anche il regista e sceneggiatore Michel Hazanavicius e l’attore protagonista Louis Garrel, che veste i panni di Jean-Luc Godard. Uscirà nelle sale il 31 Ottobre 2017 e sarà disponibile in 60 copie (il film è stato girato in pellicola).
Il mio Godard: si, ma quale?
Il film “Il mio Godard” era stato presentato a Cannes come “Le Redoutable”, dal nome di un sottomarino francese: il nome, tradotto, significa “formidabile” ma anche “temibile”; il titolo italiano, invece, ci indirizza subito verso la domanda giusta da porsi, ossia su quale sia il punto di vista su Jean-Luc Godard adottato in questo film. In altre parole: qual è il Godard che vediamo? Di sicuro quello della da poco scomparsa Anne Wiazemsky, dalla cui biografia “Un an après” prende spunto la sceneggiatura di Hazanavicius. Ma c’è anche il Godard del regista e quello che vive attraverso Louis Garrel.
Prende quindi la parola Michel Hazanavicius, che si dice innanzi tutto soddisfatto del titolo italiano, sebbene trovi difficile dire chi sia il suo Godard: quello che vediamo sullo schermo è il risultato di una catena di punti di vista su di lui, a partire dall’ opera letteraria da cui prende spunto Hazanavicius per creare il film, fino alla rappresentazione che ne fa l’attore Louis Garrel. L’unica verità è che Godard è un personaggio molto sfaccettato, paradossale, in cui convivono tragedia e commedia, un eroe, un uomo che ha sempre lottato strenuamente per le cose in cui credeva, “è un personaggio libero, complesso e paradossale”; per Garrel, invece, è soprattutto un Godard di finzione: lui è lì ma non è più lui, il film stesso è una creazione immaginaria di quel che avrebbe potuto essere il ‘68, un film sul ’68 fatto da un figlio di quell’epoca, che non l’ha vissuta in prima persona e che quindi non la ripropone con nostalgia.
Il mio Godard: ritratto di un uomo
Nel rispondere a una domanda su quale Godard preferisca, tra quello prima di “La cinese” o quello dopo il Gruppo Dziga Vertov, Hazanavicius mette i puntini sulle i e chiarisce il vero senso di “Il mio Godard”: non è certo una pellicola in cui si cerca di giudicare le sue scelte, ed è anzi una cosa che il regista si è sforzato di non fare, ma in cui, invece, si vuole solamente illustrare il percorso del cineasta francese, con tutte le sfumature del personaggio: è il “ritratto di una coppia e di un uomo”. In particolare, Hazanavicius dice di aver voluto mostrare la frattura che avviene nella carriera di Jean-Luc Godard, quel momento particolare, nel ’68, in cui decide di abbandonare un cinema che non definirebbe comunque industriale, ma di certo più tradizionale, in favore di un cinema senza attori e personaggi, quello del Gruppo Dziga Vertov. E sebbene “Il mio Godard” non voglia essere un film che propone una tesi, Hazanavicius ammette che probabilmente la radicalizzazione dell’uomo Jean-Luc coincide con il frutto di una depressione da lui vissuta in quel momento, a cui lui reagisce non tanto con un sacrificio, quanto piuttosto con un atto di eroismo, cercando di ritagliarsi un percorso differente rispetto a quello che aveva intrapreso fino ad allora.
Louis Garrel parla di “Il mio Godard” come di “una commedia accettata dall’inizio“, un gioco; proprio per questo motivo, nella rappresentazione che ad alcuni è potuta sembrare banalizzata del cinema nostrano, attraverso i personaggi di Ferreri e Bertolucci, Louis Garrel rivede invece la creazione di un “carattero” (parola sua, che si è espresso in italiano): vengono trattati come personaggi comici, il film non è un documentario su di loro, quindi vengono ripresi attraverso la distanza dell’umorismo. E, parlando dello stesso Godard, Garrel dice di aver indossato una maschera e di essersi interessato particolarmente, nell’interpretare questo ruolo, al fatto di essere nascosto dietro qualcuno in un film che non è realista ma che è solo un gioco.
Il mio Godard: un film di equilibri
Quel che è emerso dalle parole di Michel Hazanavicius su “Il mio Godard” è il fatto che è una pellicola fatta di equilibri; in primis, l’equilibrio tra distanza e vicinanza: il regista francese, rispondendo a una domanda sui suoi “meravigliosi primi piani”, dice di amare i campi lunghi perché creano distanza, e che è proprio questa distanza la giusta chiave per dare poi forza ai primi piani, in un gioco di allontanamenti e avvicinamenti che sono stati possibili soprattutto grazie al direttore della fotografia, Guillaume Schiffman (ammettendo, poi, che con attori come Luis Garrel, Stacy Martin, Bérénice Bejo è facile creare bei primi piani).
Poi, l’equilibrio più importante: Michel Hazanavicius dice di essersi preoccupato di mantenersi in bilico tra tragedia e commedia, omaggio e critica, tra un personaggio negativo e un personaggio positivo, creando un film gioioso che non fosse una caricatura. Ad ispirarlo e guidarlo in questo senso sono stati i film di Scola, Risi e Monicelli, che regalavano ritratti di esseri umani che non erano né glorificazioni né tentativi di sminuirli, ma si limitavano a mostrare l’uomo in tutta la sua complessità. A tal proposito, ha citato un proverbio ebraico secondo cui un amico è una persona che ti conosce molto bene e che ti ama nonostante questo, ed è ciò che ha cercato di fare con Godard: “La mia preoccupazione era proprio questa, di amarlo comunque”.
Infine, l’equilibrio tra realtà e finzione: tutto ciò che è stato scritto è stato inventato da Hazanavicius, che mentre stendeva la sceneggiatura si sforzava però di tenere bene a mente Godard, con il suo ritmo e il suo fraseggio, e quel che si diceva nell’epoca che ha portato sullo schermo.
Giada Aversa
18/10/2017