“Il mio migliore incubo”: un’irresistibile commedia direttamente dal Festival Internazionale del Film di Roma
(Mon Pire Cauchemar) Regia: Anne Fontaine – Cast: Isabelle Huppert, Benoît Poelvoorde, André Dussollier, Virginie Efira, Aurélien Recoing de la Comédie-Française, Eric Berger – Genere: Commedia, colore, 99 minuti – Produzione: Francia, Belgio, 2011 – Distribuzione: BIM – Data di uscita: 30 marzo 2012.
Prendete una buona dose di lotta di classe, aggiungete una manciata di finto perbenismo borghese, la vacuità di un certo intellettualismo contemporaneo, un pizzico di frigidità e di manie sessuali (ah, i cari vecchi opposti che vanno inesorabilmente a coincidere) e avrete la ricetta perfetta per questa irresistibile commedia.
Dalla regista di “Coco Avant Chanel”, presentato fuori concorso al Festival Internazionale del Film di Roma 2011, ecco una pellicola francese che ha tutte le carte in regola per “sbancare” e ripetere, perché no, il successo di “Bienvenue chez les Ch’tis”, film-rivelazione del 2007 di Dany Boon. Che ci si trovi dinanzi all’affermarsi di una vera e propria scuola francese della commedia intelligente, volta a far ridere riflettendo su temi importanti e universali, si evince dal coinvolgimento di Benoît Poelvoorde, attore-feticcio della regista Fontaine, nell’ultima pellicola di Boon, “Rien à Déclarer”, in questi giorni nelle nostre sale.
Il peggior incubo di Agathe, una strepitosa Isabelle Huppert, è che qualcosa alteri l’equilibrio di facciata da lei faticosamente raggiunto col compagno, col figlio e col lavoro di gallerista d’arte. Tutti questi rapporti sono ben organizzati, in apparenza perfetti, ma sotto l’inappuntabile facciata, irrimediabilmente freddi e privi di umanità. Il piombare nella sua vita di un affamato della vita stessa come Patrick, interpretato da Poelvoorde, padre del miglior amico del figlio, che con la sua energia fuori controllo crea e distrugge continuamente rapporti umani, la sconvolge. Dapprima un istintivo senso di rifiuto, poi un irresistibile attrazione verso il suo opposto le fanno mettere in discussione il bilancio di una vita. Lo stesso processo vive a modo suo anche Patrick, indeciso se continuare a vivere come sulle montagne russe, in un susseguirsi di up and down sempre più autodistruttivi, con la sua esuberanza mette in pericolo la possibilità di tenere con sé il figlio, o scenderne e imparare a procedere in maniera più equilibrata. La pellicola insegna che l’amore per sé stessi, prima ancora che quello per l’altro o per i figli, è il nostro miglior consigliere. Da ricordare il cameo di Hiroshi Sugimoto, celebre fotografo contemporaneo, che interpreta sé stesso; la trasformazione di una sua vera opera d’arte lungo il film è una metafora della mutazione dei rapporti tra i due protagonisti nel corso della storia.
Un film da vedere perché, oltre a ridere, e vi assicuro si ride tanto, si riflette anche un pochino sulla quantità di amore che mettiamo noi stessi nei rapporti con le persone più care e nel lavoro, su quanto il nostro equilibrio non sia solo di facciata o di comodo e nasconda problemi sommersi. Peccato che noi italiani, tranne rare eccezioni, non siamo capaci di divertirci stimolando il cervello, ma solo le regioni al di sotto della cintura. Pure ragioni di mercato spingono i produttori, i registi, e per ultimo gli attori, ormai da un quarto di secolo a propinarci ogni anno, più volte all’anno, la stessa minestra condita di sguaiatezza, volgarità ed emissioni corporali di ogni natura. Esemplare il caso dell’unica commedia intelligente che da noi ha sbancato al box office, “Benvenuti al Sud”, remake adattato alla geografia nostrana del sopra citato “Bienvenue chez les Ch’tis”; l’auspicio è che le commedie natalizie-vacanziere vadano il più presto possibile in soffitta, e che anche da noi sia stimolata la produzione di “commedia pensante”. Dipende da noi, da voi, dal pubblico; si comincia a cambiare da noi stessi, perciò cambiamo abitudini, quando scegliamo una pellicola scegliamo di volerci bene.
Daniele Battistoni