Recensione
Il prigioniero coreano – Recensione: Le due coree viste attraverso una severa critica dei regimi e delle ideologie
La barca è l’unica proprietà di Nam Chul-woo, un povero pescatore nordcoreano che utilizza il natante per dar da mangiare a sua moglie e a sua figlia piccola. Il motore, un giorno, imbrigliato dalle reti che sta recuperando, si blocca nei pressi del confine tra le due Coree e la corrente del fiume lo spinge verso la Corea del Sud. Preso in custodia dalle forze di sicurezza, Nam Chul-woo viene interrogato e trattato come una spia, ma ha una via di scampo: convertirsi al capitalismo. Percorrere le strade di Seoul, potrebbe esser un metodo per facilitare la conversione.
Quanto si deve essere pazzi per dividere un popolo? Quanto la follia umana può influire sul destino di una nazione? Nell’attesa di una risposta definitiva, si erigono muri e si segnano i confini, in nome di un razionalità malata che affligge il mondo e chi lo abita. Nord, sud. Capitalismo, comunismo. Bene e male. Un conflitto che, nel 2018 va ancora avanti senza che nessuno, apparentemente, possa farci nulla.
La Corea spezzata in due, è la vittima esemplare di antitetiche logiche che hanno espresso il loro vigore politico tracciando una linea e separando un popolo da se stesso.
Il prigioniero coreano: la vita di un uomo qualunque per raccontare una realtà paradossale
Il sudcoreano Kim ki-duk, racconta questa ferita, attraverso le vicende di un pescatore che, per un caso fortuito, si trova al di là del segno tracciato. L’errore del malcapitato funge da metafora per una minuziosa descrizione di una realtà paradossale. Le vetrine scintillanti del sud ammaliano il malcapitato, mentre il regime del nord lo richiama al dovere e al rispetto dell’ideologia. Ma tra l’ideologia e l’idiozia, il passo è breve e, quest’ultima, non attiene solo a chi decise di tracciare un solco, ma anche al popolo che, il solco, lo eresse a simbolo. Chi sta di qua e chi sta di là riproduce, senza nemmeno accorgersene, identiche dinamiche così che, le due fazioni, convinte delle proprie ragioni, mantengono in vita un’assurdità che dura da più di 70 anni.
“Il prigioniero coreano” è il popolo delle due Coree, incarnato da un umile pescatore impigliato nella sua stessa rete, con la quale lotta senza riuscire a districarsi; non riuscendo a capire, preso com’è dal panico, che più si agita e più le maglie della rete lo imbrigliano, fino a renderlo inerme. Kim ki-duk, per non essere frainteso, sceglie un linguaggio crudo, diretto e fisico; ma il suo narrare non contiene giudizi definitivi e non pretende di fornirli. Il regista sudcoreano elabora un racconto a specchio per descrivere le fatidiche due facce della stessa medaglia. Ma chi può dire cosa sia meglio fra testa e croce?
Riccardo Muzi
Trama
- Titolo Originale: Geumul
- Regia: Kim Ki-Duk
- Cast: Ryoo Seung-Bum, Lee Won-Geun, Choi Gwi-Hwa, Jo Jae-Ryong, Won-geun Lee, Young-min Kim, Guyhwa Choi, Min-seok Son, Ha-dam Jeong
- Genere: Drammatico, colore
- Durata: 114 minuti
- Produzione: Corea del Sud, 2016
- Distribuzione: Tucker Film
- Data di uscita: 12 aprile 2018
“Il prigioniero coreano” incentra la propria trama sulla figura di Nam Chul-woo, un pescatore nordcoreano. Nam è molto povero e la sua unica proprietà è una barca, tramite cui può provvedere a sua moglie e a sua figlia. La sua vita cambia quando, in un giorno sfortunato, il motore della sua barca si danneggia e, a causa della corrente, viene trascinato in Corea del Sud: qui l’uomo è bloccato dalla sicurezza, che lo tratta come una vera e propria spia.
Il prigioniero coreano: la visione politica di Kim Ki-Duk
Kim Ki-Duk guida la regia di “Il prigioniero coreano” e lo fa con il suo personale punto di vista, cercando di provocare uno spunto di riflessione negli spettatori. L’intento del regista è quello di costruire un ritratto imparziale di una divisione complessa e complicata come quella tra le due Coree. E lo fa senza mostrare una preferenza di parte, ma piuttosto mostrando come in realtà ognuna delle parti abbia i suoi lati positivi tanto quanto le proprie follie.
“Il prigioniero coreano”, incentrato sulla figura semplice e innocua di un povero pescatore, pone molte domande. Da un lato, troviamo la paura verso un regime assoluto che non consente libertà; d’altro canto, vi è un paese “libero” che però è caratterizzato dalla sfiducia totale nel prossimo, considerato in qualsiasi circostanza una possibile spia o un possibile traditore. Il protagonista de “Il prigioniero coreano” si ritrova tra le due parti e, mosso anche dalla propria fiducia totale verso il suo paese, la Corea del Nord, deve necessariamente fare i conti con una realtà completamente diversa.
Trailer
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