Recensione
Il processo ai Chicago 7: un film attualissimo sul corto circuito del potere
“Il processo ai Chicago 7” diretto da Aaron Sorkin racconta un fatto realmente accaduto nel 1968 negli USA. Siamo a Chicago; nel mese di agosto è in corso la Convention del Partito Democratico per la nomina del candidato che sfiderà Richard Nixon alle elezioni presidenziali di novembre. Più di 800 persone arrivano in città capitanate da Abbie Hoffman e Jerry Rubin del Youth International Party (YIP), David Dellinger – 54enne attivista del movimento pacifista –, Tom Hayden e Rennie Davis – giovani leader del movimento studentesco – e i due professori Lee Weiner e John Froinesi. Insieme a loro, almeno inizialmente, c’è anche Bobby Seale, uno dei fondatori del movimento delle Pantere Nere, che nel processo non avrà un legale.
La manifestazione non è autorizzata dalle autorità e sfocia in disordini violenti. I 7 (più Bobby Seal che uscirà di scena) diventeranno il capro espiatorio del governo Nixon appena insediato. Li difendono gli avvocati Leonard Weinglass e William Kunstler. All’accusa ci sarà il procuratore Richard Schultz (Joseph Gordon-Levitt). Infine, il giudice assegnato al caso sarà Julius Hoffman, un uomo che evidentemente aveva già deciso il verdetto ancor prima del procedimento, un bieco strumento nelle mani del governo Nixon. La pistola fumante sarà la Rap Brown Law, una legge approvata nel 1968 che rende un crimine l’attraversamento di un confine federale con l’intento di istigare scontri. Il processo durerà cinque mesi, diventando un evento mediatico.
Il processo ai Chicago 7: l’affresco dei tempi della guerra del Vietnam e della controcultura
Per comprendere “Il processo ai Chicago 7” bisogna calarsi negli anni della contestazione studentesca e delle proteste del ’68. La grande storia americana è segnata in quel periodo dalla scomparsa di Martin Luther King e di Robert Kennedy. La gioventù americano è sterminata nella guerra in Vietnam ma qualcosa si muove ed è la voglia di cambiamento dei giovani.
Il regista Aaron Sorkin riesce nell’impresa di usare toni leggeri per un processo farsa che ha fatto storia. I due hippy Abbie Hoffman e Jerry Rubin sono quelli che giocano palesemente con il terribile giudice. Va molto meno bene all’unico nero del gruppo Bobby Seal che finisce legato e con la bocca tappata su un banco di tribunale, non casualmente, visto il colore della sua pelle.
Nel corso della narrazione alle immagine del processo si alternano filmati di repertorio sui fatti accaduti. Il passaggio tra colore e bianco e nero funziona e drammatizza un film che denuncia la falsità di quella che era considerata la maggiore democrazia del mondo.
Sappiamo tutti che fine ha fatto Nixon e le ferite lasciate sui ragazzi mandati a combattere una guerra inutile in Vietnam. Questo denunciano, tra mille difficoltà, i sette imputati nel dibattimento conclusivo. Tra questi, alcuni risaltano su altri, come Tom Hayden interpretato da Eddie Redmayne e Abbie Hoffmann (Sacha Baron Cohen).
Il finale del processo e del film è tutto per loro. Il primo militerà nel Partito Democratico e sposerà Jane Fonda, con cui condurrà campagne pacifiste. Il secondo diventerà un’icona della controcultura accanto a personaggi come Allen Ginsberg e Timothy Leary.
Un film da mostrare ai più giovani per comprendere il presente
Potrebbe sembrare datato il film di Aaron Sorkin per il tempo passato dagli avvenimenti narrati, invece, è esattamente il contrario. Abbiamo assolutamente bisogno adesso di riscoprire quello che Jerry Rubin ha detto nel suo libro “Do it” definito da qualcuno come una “Sceneggiatura per la rivoluzione”.
Ottimo il cast formato da Sacha Baron Cohen, Michael Keaton, Eddie Redmayne, Jeremy Strong, Joseph Gordon-Levitt, Alex Sharp, Mark Rylance, William Hurt, Frank Langella, Yahya Abdul-Mateen, Alice Kremelberg, Wayne Duvall.
“Il processo ai Chicago 7” è uno dei film migliori dell’anno che sta per finire, un vero peccato che a causa della pandemia non sia potuto uscire in sala, luogo deputato per la fruizione del cinema.
Ivana Faranda
Trama
- Titolo originale: The Trial of the Chicago 7
- Regia: Aaron Sorkin
- Cast: Sacha Baron Cohen, Michael Keaton, Eddie Redmayne, Jeremy Strong, Joseph Gordon-Levitt, Alex Sharp, Mark Rylance, William Hurt, Frank Langella, Yahya Abdul-Mateen, Alice Kremelberg, Wayne Duvall
- Genere: drammatico
- Durata: 129 minuti
- Produzione: Stati Uniti, 2020
- Distribuzione: Netflix
- Data di uscita: 16 ottobre 2020
Il processo ai Chicago 7, diretto da Aaron Sorkin, regista di Codice d’onore, The Social Network, Steve Jobs, è un classico legal drama politico, che parla di umanità, razzismo e corruzione. Una storia vera che ha sconvolto il mondo. Con un cast stellare Il processo ai Chicaco 7 è incentrato sul processo del 1969 contro un gruppo di attivisti.
Il processo ai Chicago 7: la trama
Chicago, 1969: sette persone sono accusate di aver incitato e incoraggiato le folle alle rivolte avvenute l’anno precedente contro la guerra del Vietnam. I manifestanti, armati di pietre, avrebbero causato un aspro scontro tra civili e polizia che non ha esitato a cercare di arginare le masse in qualsiasi modo. Il centro della città è stato devastato e saccheggiato. Le indagini della polizia portano a un gruppo di sette attivisti, tra i quali Abbie Hoffman, Jerry Rybin, Bobby Seale, John Froines, Tom Hayden, Lee Weiner e David Dellinger, che vengono accusati e processati per cospirazione. In un tribunale dove tutti sembrano contro di loro, che coinvolge l’attenzione dei media e dei cittadini, il processo diventerà un momento drammatico e fondamentale nella vita della Storia degli Stati Uniti.
La storia vera dietro il film
I così detti Chicago Seven erano un gruppo di sette attivisti, appunto Hoffman, Rubin, Dellinger, Hayden, Davis, Froines e Weiner che, nel 1969, furono processati per incitamento alla rivolta e cospirazione. Durante la Convention dei democratici a Chicago, nel 1968, quando Hubert Humphrey era candidato alle presidenziali, vi fu una manifestazione contro il presidente democratico Lyndon Johnson, in carica prima delle nuove elezioni. Il centro della protesta era la guerra del Vietnam, considerata assurda, inutile e che avrebbe causato solo la morte di migliaia di cittadini americani.
Centinaia di migliaia di manifestanti misero a ferro a fuoco il centro di Chicago, e furono fermati dalla polizia che arginò violentemente la protesta. Dopo gli scontri vennero appunto accusati otto attivisti. Il procuratore generale Ramsey Clark, rinviò il processo, considerando che la violenza della polizia fosse inaudita e che avesse causato la risposta dei manifestanti. L’anno dopo, con l’elezione di Nixon, il processo iniziò comunque il 20 marzo 1969. Bobby Seale, unico nero del gruppo e leader dei Black Panthers, ebbe numerosi scambi di insulti e battute con il giudice durante il processo, che ordinò quindi di processarlo separatamente dagli altri, con l’aggravante accusa di oltraggio alla corte.
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