Recensione
Il Signor Diavolo: ritorno all’horror italiano degli anni ’70
Dopo cinque anni di parentesi televisiva, Pupi Avati torna al cinema e lo fa frequentando il genere che lo ha consacrato: l’horror gotico.
Il regista torna a raccontare la paura dell’ignoto e del diverso, la religiosità e la superstizione delle campagne padane degli anni ’50. Torna a permeare ogni inquadratura di una religiosità minacciosa e oscura. Lo fa realizzando un film fatto di ombre più che di luce, dove il senso di minaccia è costante e il maligno potrebbe colpire chiunque, anche il personaggio più insospettabile.
La storia, ambientata nel Polesine, racconta di un ragazzino, Carlo, che viene accusato dell’omicidio di un coetaneo, Emilio, nato deforme. Carlo ha ucciso Emilio perché convinto che il ragazzino, portatore di una dentatura mostruosa, sia l’impersonificazione stessa del diavolo. Un pubblico ministero romano, Furio Momenté (Gabriele Lo Giudice), viene incaricato di indagare, allo scopo di mettere a tacere le voci che vogliono implicati nel terribile omicidio membri della Chiesa.
Il Signor Diavolo: un viaggio a ritroso nel tempo
Pupi Avati ha chiaro in mente il progetto di ricreare le atmosfere di quel capolavoro che fu “La casa dalle finestre che ridono“. In parte, riesce nell’impresa. L’intero film è permeato da quella stessa atmosfera minacciosa e inquietante e genera una continua sensazione di angoscia strisciante che accompagna lo spettatore per tutta la visione. Tuttavia, il film, per sua stessa natura, risulta essere “nato vecchio“, e non riesce ad avere lo stesso impatto dei precedenti capolavori della filmografia del regista.
La fotografia è magnifica. Ogni inquadratura è ricercata, bellissima da vedere. La cromia desaturata, quasi ai limiti del bianco e nero, è splendida e aiuta a immergersi appieno nel mondo che la pellicola vuole rappresentare. Anche i volti degli attori sono “giusti“. Gli effetti speciali di Sergio Stivaletti davvero ben fatti. Sempre credibili, soprattutto quando si vedono dei cadaveri, anche in primissimo piano, non si ha mai l’impressione di star guardando un fantoccio di gomma.
Purtroppo, quando si tratta invece di raccontare le azioni dei personaggi, la regia si perde nell’estetica e scivola spesso nell’utilizzo di ralenty inutili e didascalici. A volte i movimenti degli attori sono troppo artefatti e coreografati per essere credibili. Pupi Avati sembra più interessato a mettere in scena dei magnifici quadri in movimento che a raccontare le azioni che avvengono su schermo. Se avesse mantenuto la stessa cura, secchezza e pulizia che ha dedicato alle immagini, evitando di scivolare nel barocco, anche la tensione ne avrebbe giovato.
Il Signor Diavolo: montaggio sonoro non all’altezza delle immagini
Amedeo Tommasi compone una colonna sonora di alto livello, che aiuta ad immergersi nelle atmosfere del film. Peccato che la presa diretta e il missaggio sonoro non siano all’altezza delle musiche. Gli effetti sonori sono strani, a volte esagerati e dai volumi sbilanciati, staccano rispetto a ciò che si vede sullo schermo. Ad esempio, durante la scena dell’autopsia, il medico tocca semplicemente le guance della vittima con una mano, ma dall’audio sembra quasi che lo stia squartando.
La presa diretta a volte rende le battute difficilmente comprensibili. Soprattutto nel caso della madre di Emilio: l’attrice Chiara Caselli ha scelto di usare un tono di voce basso, quasi grattato, molto funzionale per il suo personaggio. Purtroppo, tra la voce bassa e il dialetto veneto, la suggestione è potente ma si fa fatica a capire cosa stia dicendo.
Il Signor Diavolo: recitazione d’altri tempi
Tutti gli attori sono molto bravi. Peccato che lo stile di recitazione scelto li porti a dire le battute in modo rapido e legato, quasi come un fiume in piena, senza pause di riflessione. Sebbene questo gli permetta di essere sempre credibili, senza perdersi in svolazzi estetici, mancano i pensieri tra una battuta e l’altra, e questo fa apparire tutti i personaggi un po’ freddi e poco coinvolti.
La trama è molto interessante e la sceneggiatura si sviluppa, tramite flashback, in modo coinvolgente e mai banale. A volte l’intreccio risulta un po’ complicato anche per colpa, purtroppo, dell’audio non all’altezza, unito alla fretta che tutti hanno nel parlare, che fa perdere battute importanti.
L’atmosfera è sempre efficace, il colpo di scena finale centra il bersaglio, e il film dispensa momenti genuinamente disturbanti.
Peccato per tutti questi piccoli difetti tecnici che, purtroppo, distraggono dal racconto, inficiando una visione altrimenti molto più coinvolgente.
Nicola De Santis
Trama
- Regia: Pupi Avati
- Cast: Gabriel Lo Giudice, Filippo Franchini, Massimo Bonetti, Alessandro Haber, Gianni Cavina, Lino Capolicchio, Chiara Caselli, Enrico Salimbeni, Fabio Ferrari, Chiara Sani
- Genere: Horror, Drammatico, colore
- Durata: 86 minuti
- Produzione: Italia, 2019
- Distribuzione: 01 Distribution
- Data di uscita: 22 agosto 2019
“Il Signor Diavolo” è un film di Pupi Avati, tratto dall’omonimo romanzo scritto dallo stesso regista e ambientato nei luoghi del suo precedente film cult “La Casa dalle Finestre che Ridono” del 1976.
Il Signor Diavolo: l’horror all’italiana
La storia, ambientata nel Polesine degli anni ’50, si apre con il singolare processo di un ragazzino, Carlo, che ha ucciso un suo coetaneo, Emilio, perché secondo lui, aveva provocato la morte del suo amico Paolino.
In questo periodo di campagna elettorale, nel cattolicesimo Veneto post bellico, in cui la politica cerca di mantenere la situazione sotto controllo, quando si accerta che nell’omicidio è implicato un convento di monache e si vocifera di visioni demoniache, un pubblico ministero romano, Furio Momentè, viene incaricato di fare luce sulle indagini.
Durante gli interrogatori Carlo, come il resto della gente del territorio, sostiene che Paolino è morto a causa di una maledizione provocata dal compagno Emilio, che durante la Comunione, lo fece inciampare e calpestare involontariamente l’ostia consacrata, facendogli commettere un sacrilegio.
Per far tornare l’amico, Carlo finisce nell’impelagarsi in riti oscuri e sacrileghi, scatenando le forze demoniache e portando alla luce la realtà di paura nei confronti del diavolo e la religiosità ancestrale tipiche di quel periodo storico.
Nel cast il regista dirige il giovane Filippo Franchini al suo esordio sul grande schermo, affiancato da Alessandro Haber (“La sconosciuta”, 2006), Gianni Cavina e Lino Capolicchio, che già avevano collaborato con Pupi Avati nel celebre horror italiano “La casa dalle finestre che ridono”.