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Il superstite – Recensione

Una storia di dolore e ossessione tra dubbio e follia

(For Those in Peril) Regia: Paul Wright – Cast: Kate Dickie, Nichola Burley, George MacKay, Michael Smiley, Brian McCardie – Genere: Drammatico, colore, 92 minuti – Produzione: Gran Bretagna, 2013 – Distribuzione: Nomad Film – Data di uscita: 6 marzo 2014.

ilsuperstiteAaron, un giovane disadattato che vive in una remota comunità scozzese, è l’unico sopravvissuto di uno strano incidente di pesca che è costato la vita a cinque uomini, tra cui suo fratello maggiore. Incitato dalla superstizione locale, il villaggio incolpa Aaron per questa tragedia, facendo di lui un emarginato tra la sua stessa gente. Rifiutando fermamente di credere che suo fratello è morto, e accecato da dolore, follia e superstizione, Aaron decide di uscire in mare aperto per ritrovarlo.

Paul Wright, al suo primo lungometraggio, si cimenta con una storia d’amore, follia, discriminazione e incomprensione, presentata come una dilatazione all’interno dell’emotività del suo personaggio principale. Il film si apre nel pieno della sofferenza con il funerale dei ragazzi dispersi in mare e il cordoglio di familiari e concittadini. Inspiegabilmente gli abitanti della cittadina mantengono un atteggiamento di distacco e disprezzo verso Aaron che si ritrova isolato nel suo dramma. L’interrogativo portante della storia, che si palesa fin dai primi cinque minuti della pellicola, ovvero se sia vero o meno che un mostro marino abbia attaccato e ucciso i cinque ragazzi, viene portato avanti fino al finale, rivelatore. Peccato però che pochi elementi sono aggiunti a questo dubbio, in grado di permettere allo spettatore di sostenere l’angoscia permeante del protagonista, mantenendo vivo l’interesse, che invece è destinato a calare inesorabilmente.

La pellicola infatti soffre della continua ripetizione degli stessi motivi principali e solo nell’ultima parte finalmente si apre, con sempre maggiore intensità, una epifanica incursione nel mondo di Aaron, che se affrontata e approfondita con maggiore anticipo avrebbe potuto salvare un’opera che invece persevera ferocemente nella sua lentezza. Stesso discorso vale per l’aspetto di alienazione e discriminazione sociale in cui il protagonista si ritrova immerso ma che avrebbe meritato maggiore spazio e intensità.

Da apprezzare comunque la mano di Wright e del direttore della fotografia Benjamin Kracun, particolarmente interessanti nelle scene in acqua e nella scelta dei colori e del punto di vista delle inquadrature che descrivono il sentimento ossessivo sostenuto senza cadute dall’attore George Mackay.

“Il superstite” è dunque un film di calmo delirio sulle rive del mare, ma purtroppo contro un mare di lentezza lo spettatore rischia di affogare.

Miriam Reale

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