A soli cinquantanove anni è morto in Lettonia per conseguenze del Covid Kim Ki-Duk. Il regista era arrivato nel paese a novembre per acquistare una casa a Jurmala, ma non si era presentato agli appuntamenti presi per il contratto. Dal 5 dicembre, inoltre, il suo staff non riusciva a mettersi in contatto con lui. Dopo averlo cercato negli ospedali del luogo si è scoperto della sua morte. Artista geniale, Kim Ki-Duk ha avuto un’infanzia dura con conseguenti problemi di depressione legati all’ambiente cinematografico, da lui molto criticato. Nel corso della sua carriera ha girato ben ventidue film.
Kim Ki-duk: una Carriera cinematografica iniziata nel 1996 con “Crocodile”
Molto noto in Europa, Kim Ki-duk non è stato molto amato nel suo paese.
Nato a Bonghwa, nella Corea del Sud, il regista si trasferisce a Seoul a soli nove anni per frequentare una scuola professionale nel settore agricolo. Dopo essersi arruolato nell’esercito, ha una crisi religiosa e pensa di diventare predicatore, ma a trent’anni la sua vita cambia rotta e decide di andare a vivere in Francia, dove può dedicarsi alla pittura e alla scrittura delle prime sceneggiature.
Il suo primo film, “Cocodrile” del 1996, segue la storia di un giovane che vive di espedienti sotto i ponti del fiume Han, dove aspetta i cadaveri dei suicidi per rubare i loro oggetti e s’innamora della stessa donna che ha violentato ripetutamente. S’intravedono subito i tratti distintivi delle sue opere future caratterizzate da violenza, sesso e dolore. I rapporti malsani con una nota sul sesso, che non ha nulla di gioioso, diventato un tema ricorrente nella cinematografia del regista.
Nel 2000 dirige “L’isola”, una storia d’amore tra due disperati che vivono in un non luogo con case galleggianti. Il film va con successo a Venezia e al Sundance e lo fa scoprire al grande pubblico dei Festival. In tutte le sue opere, in qualche modo il regista parla di se stesso e della sua infanzia difficile nel suo paese.
Il cineasta sembra trovare una catarsi in “Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera” del 2003, storia apparentemente poetica ambientata in un tempio buddista. Un film di grande bellezza che nasconde il dolore esibito nei suoi lavori precedenti.
Kim diventa di casa a Venezia, dove al Lido è premiato negli anni con il Premio Fipresci e il Leone D’Argento nel 2004 per “Ferro 3 – La casa vuota”, una storia d’amore visionaria.
In “Time” del 2006, il regista si autocita continuamente e mette in scena il rapporto tra amore e tempo che passa. I due protagonisti cambiano identità e si cercano continuamente per fuggire ai danni dell’abitudine.
“Dream” il film maledetto di Kim ki-Duk
La carriera di questo prolifico regista ha una battuta d’arresto per l’incidente che nel 2008 mise a rischio la vita dell’attrice Lee Na-Yeong in “Dream”. Kim soffre di una grave depressione, probabilmente anche per disaccordi con alcune persone del suo entourage e un film che non riesce a girare.
Ne viene fuori nel 2011, anno di “Arirang” premiato a Cannes nella sezione Un Certain Regard. Si tratta di un diario intimo dello stesso regista, che si racconta in un documentario senza filtri. Nel 2012 con “Pietà” alla 69sima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia vince il Leone d’Oro.
“Il prigioniero coreano” del 2016 è il primo film politico di Kim Ki-Duk sui rapporti tra le due Coree. Il suo ultimo lavoro è “Human, Space, Time and Human” del 2018, un visionario atto di denuncia contro il capitalismo, evidentemente il suo testamento spirituale.
Andrea Racca
11/12/2020