Il documentario “San Damiano”, presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma 2024, racconta la vita di Damiano, un uomo polacco di 35 anni che si ritrova senza un soldo e con una storia difficile alle spalle. Attraverso gli occhi dei registi Gregorio Sassoli e Alejandro Cifuentes, il film esplora la comunità di senzatetto di via Marsala a Roma, offrendo uno sguardo empatico e crudo su una realtà spesso ignorata. Dal suo arrivo alla stazione Termini fino alla sua vita tra le strade di Roma, Damiano diventa il fulcro di un racconto che mescola documentario e narrazione cinematografica.
L’incontro che ha cambiato tutto
Damiano arriva a Roma dopo un’infanzia turbolenta in Calabria, e il suo incontro casuale con i registi Sassoli e Cifuentes segna l’inizio di un progetto cinematografico. I due registi, colpiti dalla personalità magnetica di Damiano, decidono di documentare la sua vita e quella della comunità di senzatetto che frequenta. “Non abbiamo pensato, abbiamo agito subito”, racconta Sassoli, sottolineando come l’incontro con Damiano abbia ispirato immediatamente la loro idea di filmare. La sua capacità di raccontare storie, unita a una presenza fisica imponente, ha spinto i registi a prendere in mano la telecamera e iniziare a girare.
L’idea iniziale di realizzare un film di finzione si trasforma rapidamente in un documentario, poiché i registi si rendono conto della necessità di catturare la realtà senza filtri. “Abbiamo avvertito la necessità di perdere i confini”, spiega Cifuentes, evidenziando come il loro approccio sia diventato sempre più intimo e diretto, con un uso predominante di primi piani per avvicinarsi alla vita della comunità.
La scelta di mostrare la verità
Una delle decisioni più significative dei registi è stata quella di non nascondere nulla della vita di Damiano e della comunità di via Marsala. “Abbiamo deciso di mostrare tutto”, afferma Sassoli, sottolineando l’importanza di rappresentare anche gli aspetti più crudi e violenti della vita in strada. Questa scelta, sebbene controversa, è stata guidata dalla volontà di non edulcorare la realtà, ma di presentarla nella sua forma più autentica.
Cifuentes aggiunge che la loro immersione nella vita della comunità ha permesso loro di comprendere il codice d’amicizia e le dinamiche interne, evitando di applicare un filtro esterno. “Non volevamo edulcorare la realtà”, afferma, evidenziando come la loro esperienza di volontariato precedente abbia influenzato il modo in cui hanno raccontato la storia di Damiano.
Un documentario tra crudo e ironico
“San Damiano” si distingue per il suo approccio ibrido, mescolando elementi di documentario e narrazione cinematografica. I registi hanno voluto creare un’opera che fosse il più simile possibile a un film, utilizzando una colonna sonora che include brani di artisti noti e canzoni cantate dai protagonisti stessi. “Una delle nostre priorità era fare un documentario che fosse il più simile possibile a un film”, spiega Sassoli, rivelando come la musica abbia svolto un ruolo fondamentale nel legare insieme le diverse parti del racconto.
La scelta di utilizzare una varietà di stili musicali, da brani pop a composizioni originali, contribuisce a dare al documentario un’atmosfera unica, capace di alternare momenti di grande intensità emotiva a tratti di ironia. Questo mix di tonalità rende “San Damiano” un’opera complessa e coinvolgente, capace di attrarre un pubblico vasto e variegato.
Un legame profondo con la comunità
Il processo di accettazione da parte della comunità di senzatetto è stato cruciale per il successo del documentario. Cifuentes racconta di come, inizialmente, i registi cercassero un approccio più distaccato, simile a quello di antropologi. Tuttavia, col tempo, il loro coinvolgimento emotivo è aumentato, permettendo loro di stabilire relazioni autentiche con i membri della comunità. “Abbiamo vissuto diverse situazioni con grande disinvoltura, con una curiosità bambina”, afferma Cifuentes, evidenziando come il loro approccio sia evoluto in risposta alle esperienze condivise.
La relazione con Damiano, in particolare, ha portato i registi a interrogarsi su come potessero aiutarlo. Dopo aver notato un deterioramento nella sua condizione, hanno deciso di portarlo alla fondazione di Villa Maraini a Roma, sperando di avviarlo verso un percorso di recupero. “La chiave della buona riuscita del documentario è stata nel tempo che siamo riusciti a trascorrere lì”, afferma Sassoli, sottolineando l’importanza di costruire rapporti profondi per dare vita a una narrazione organica.
Riflessioni sulla realtà dei senzatetto
Il documentario affronta anche la questione della rappresentazione dei senzatetto nei media e nella società. Cifuentes osserva che la violenza nella vita dei senzatetto è spesso circoscritta ai loro gruppi e raramente coinvolge il mondo esterno. Tuttavia, i registi hanno assistito a situazioni che richiedevano il loro intervento, imparando a comprendere le dinamiche interne della comunità. “Abbiamo iniziato a capire che quella quotidianità è fatta di un intreccio paradossale di dolcezza, amore e violenza”, afferma Cifuentes, evidenziando la complessità della vita in strada.
Sassoli, parlando della riqualificazione della stazione Termini, mette in luce come le soluzioni architettoniche adottate dallo Stato non risolvano i problemi, ma piuttosto li nascondano. “Il problema è più profondo”, afferma, suggerendo che esperienze di volontariato potrebbero aiutare a ridurre le distanze tra le persone e promuovere una maggiore consapevolezza sociale.
La distribuzione e il futuro di Damiano
“San Damiano” è un documentario autoprodotto e autodistribuito, frutto della determinazione dei registi di mantenere la libertà creativa. Nonostante le difficoltà iniziali nel trovare distributori interessati, hanno deciso di procedere autonomamente, contattando direttamente i cinema e pianificando strategie di marketing. “Sta andando bene”, afferma Sassoli, evidenziando come il film stia trovando spazio nelle sale di tutta Italia.
Attualmente, Damiano si trova in una clinica psichiatrica in Polonia. I registi sono rimasti in contatto con lui e, sebbene non abbia ancora visto il film, il legame tra loro rimane forte. “Conversare con lui è sempre piacevole e divertente”, conclude Sassoli, sottolineando l’importanza del riconoscimento del valore di Damiano e del suo ruolo nel documentario.
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