La tragedia dell’Olocausto raccontata con poesia e sgarbo da un Benigni in stato di grazia, vincitore di ben tre premi Oscar
Regia: Roberto Benigni – Cast: Roberto Benigni, Nicoletta Braschi, Horst Buchholz, Giustino Durano, Giuliana Lojodice – Genere: Drammatico, colore, 120 minuti – Produzione: Italia, 1997 – Distribuzione: Cecchi Gori – Data di uscita: 20 dicembre 1997.
Fin dove può arrivare l’amore di un padre, che deve a tutti i costi nascondere il dolore delle atrocità di una realtà circostante ostile e oltremodo pericolosa? Ce lo racconta Roberto Benigni, splendidamente ispirato, dopo il flop de “Il mostro” (1994), con “La vita è bella”, pellicola del 1997, attraverso cui, l’attore/regista descrive in maniera del tutto originale la tragedia dell’Olocausto, oltremodo sfruttata dal cinema, rievocando in parte la sua esperienza di figlio di un ex deportato.
È una fiaba dai risvolti a volte comici, e per questo da alcuni duramente criticata, quella che vede per protagonista l’ebreo toscano Giulio Orefice, cameriere poeta, che viene deportato in un campo di concentramento con il figlioletto Giosuè, nato dall’amore con la maestrina Dora, che nonostante non sia ebrea, decide di seguirli.
È così che, a partire da questa semplice vicenda comune a tante altre, che Benigni, qui anche in veste di sceneggiatore insieme a Vincenzo Cerami, costruisce un impianto narrativo commovente, senza scadere nel facile e patetico pietismo, che lascia sullo sfondo gli orrori della guerra e pone come tema portante la grande fantasia messa a punto da un genitore disperato che deve a tutti i costi camuffare un vissuto insostenibile per evitare che il proprio bambino venga distrutto dal terrore. Nonostante alcune pecche della pellicola, prima tra tutte la facile retorica, “La vita è bella” è un inno ai sentimenti veri e puri, quelli ispirati dall’affetto famigliare e dall’amore che supera la diversità e le distanze, ottimamente espresso da Benigni e dalla Braschi (coppia perfetta sul set e nella vita). La prigionia diventa un gioco a premi, così come la guerra è un gioco folle, indispensabile da giocare per sopravvivere, nonostante le difficoltà del percorso perché in fondo ‘la vita è bella’ anche laddove sembra non esserci speranza e l’unica flebile luce è quella rappresentata dall’affetto dei propri cari. Meritati i tre Oscar (sette sono state le candidature), andati nel 1999 alla Miglior Colonna Sonora di Nicola Piovani, al Miglior Film Straniero e al Miglior Attore Protagonista, oltre ai cinque Nastri d’Argento, i nove David di Donatello e il Gran Premio della Giuria al 51° Festival di Cannes.
Salvatore Buellis