Recensione
Laila in Haifa: una storia al femminile per raccontare la convivenza tra palestinesi e israeliani
Si prepara una mostra di fotografia in un club chiamato Fattouch. L’artista Gil è israeliano e Laila, la PR palestinese. Tra gli invitati c’è di tutto, omosessuali, agenti di Hammas e familiari del fotografo e della giovane Laila. Non ultimo suo marito, uomo ricchissimo a conoscenza della sua infatuazione per Gil. Si racchiude in queste poche righe la storia di “Laila in Haifa” lavoro di Amos Gitai, il più internazionale dei registi israeliani, che da molti anni vive in Francia.
Abituato a raccontare la difficile convivenza tra due popoli completamente differenti, lo fa in quest’occasione con una storia minimal ambientata a Haifa, cittadina portuale dove è nato e cresciuto. Il racconto è rarefatto, diviso in piccoli quadri composti dai vari protagonisti. Quelli principali sono Gil e Laila, giovani e tormentati. Loro sono come il centro di un piccolo universo, dove nessuno è felice, le donne soprattutto.
Il regista realizza una storia al femminile. In una notte piovosa il luogo, che acquista una forte valenza simbolica, è attraversato continuamente da un treno. Vicino c’è Il club/galleria d’arte, una sorta di zona franca che potrebbe essere a Berlino come a New York. Peccato che nessuno sia felice, soprattutto le donne protagoniste. Da Laila innamorato di Gil ma sposata, alla moglie dello chef anche lei indecisa tra il marito e il bel fotografo, per finire con la sua sorellastra infelicemente coniugata.
Una storia non facilmente comprensibile per lo spettatore occidentale
“Laila in Haifa” mischia il tema sentimentale con quello politico. La vera chiave di lettura per comprendere il film è il cast, un mix di attori israelo/palestinesi. Peccato che per capirlo bisogna leggere le note di regia del film.
Amos Gitai è entrato di diritto nella storia del cinema per il suo impegno nel descrivere una convivenza civile di due popoli divisi da un conflitto eterno. Il suo “Kippur”, film che segue la sua gioventù nell’esercito è un punto fermo della settima arte. Non si può dire esattamente lo stesso di “Laila in Haifa” in Concorso a Venezia 2020. Gli spunti ci sono ma si fa fatica a cogliere il senso dell’opera. Inoltre, la narrazione è lenta e i dialoghi verbosi. La sua idea era di presentare un’istantanea della vita a Haifa, ma il risultato non è dei migliori nonostante l’ottimo cast.
Ivana Faranda
Trama
- Regia: Amos Gitai
- Cast: Bahira Ablassi, Tom Baum, Tsahi Halevi, Fayez Abu Haya, Khawla Ibraheem, Anuar Jour, Amir Khoury, Clara Khoury, Makram Khoury, Hana Laslo
- Genere: Drammatico, colore
- Durata: 99 minuti
- Produzione: Israele, 2020
“Laila in Haifa” è un film di Amos Gitai, in Concorso alla 77° Mostra Internazionale del Cinema.
Laila in Haifa: la trama
In un club nella cittadina portuale di Haifa un gruppo di persone di vario tipo si incontrano in una notte di pioggia. Tra intrighi sentimentali e conflitti politici “Laila in Hifa” compie un’istantanea della società contemporanea israeliana.
Il regista
Amos Gitai è un regista, sceneggiatore, attore e architetto israeliano, che è riuscito ad affermarsi a livello internazionale. israeliani in attività, ed è di casa in tutti i festival internazionali. Sebbene autore di molti film di fiction, non ha mai abbandonato il suo genere d’esordio, quello del documentario. il regista, di casa a Venezia, ha presentato Fuori Concorso “Carmel”, singolare ritratto del suo paese diviso in sette capitali dall’epoca romana agli anni nostri, che prende spunto dalle lettere di sua madre Efratia.Dopo quattro anni di pausa, è tornato al Lido, questa volta In Concorso, con “Ana Arabia”. Gitai racconta, in unico piano sequenza, la pacifica convivenza di un gruppo di ebrei e arabi che vivono al confine fra Jaffa e Bat Yam in Israele, dimostrando ancora una volta il suo ottimismo verso la pace nel suo Paese. E’ in concorso all’ultimo Festival di Venezia con “Laila in Haifa”.