Recensione
Lawrence d’Arabia: i veri protagonisti del film
Il deserto prima di ogni altra cosa. In “Lawrence d’Arabia” questo universo sabbioso è vivo e pulsante e la sua sabbia, il soffiare del vento caldo e il suo cielo cristallino, compagni mortali e seduttori dell’apparentemente ingenuo avventuriero britannico, sono i veri protagonisti di una storia che, pur nel mettere in scena fatti reali, si incanta nella contemplazione del sentimento di Lawrence per la terra che ne inghiottirà l’anima ben più di quanto non si concentri sulla situazione politico-bellica dell’Arabia dell’epoca.
L’alzarsi, in lontananza, di un muro di sabbia, una nuvola di passaggio, il piegarsi al vento di un arbusto, potrebbe essere ingegnosa o arida esaltante o sterile a seconda della mano che la guida.
E il regista, David Lean, così abile nel trarre dai suoi attori il massimo dell’espressione, non manca di riservare altrettanta cura all’armonia di tutte queste componenti, dalla resa degli sfondi, a questa recitazione meteorologica, che ha il vigore e l’eloquenza dei paesaggi del muto e la sensibilità nell’inquadrare il vento che smuove la sabbia in delicate onde marine. Mai in una produzione cinematografica prima di allora e massimo due o tre volte dopo, si è assistito a una combinazione felice di estetica ed emotività mettendo d’accordo pubblico e critica.
Da non dimenticare le meravigliose musiche di Maurice Jarre e Fred Gilbert, bellissime ricche di lirica, drammaticità. Musiche importali riprese e riproposte da mille registi e artisti nel tempo. Immortali. Come le poesie, vendibili, certo come tutti i prodotti, ma non consumabili, immortali, parafrasando Pasolini, in una celebre intervista a Enzo Biagi.
Lawrence d’Arabia: il magnetismo di Peter O’Toole/Lawrence e la drammaturgia dello sguardo
Eroe molto umano e quindi ambiguo, solo apparentemente fragile che ripudia la violenza ma che non dimentica di essere sempre un agente segreto che conosce e non si fa intimorire dalla guerra, di fiero e spasmodico masochismo dotato di un’aura speciale, il Lawrence interpretato grazie ad una felice intuizione del regista, da Peter O’Toole è un capolavoro nel capolavoro: machiavellico e trasognato, spietato e fragile, disincantato ed iperemotivo. Umano, troppo umano direbbe qualcuno.
In breve contemporaneamente umano e figura leggendaria, che tradito dai suoi stessi superiori, con grandi e gravi responsabilità in particolare dagli alleati francesi, dopo tante avventure pericolose, perderà infine la vita in un odioso e banale incidente di motocicletta nella sua terra natìa. Un filo rosso, quello di uscire di scena così, in modo odioso e banale, che a ripensarci, unisce i tanti eroi, intese come persone capaci di gesti straordinari nella storia di ogni paese. Persone generose, che con tonnellate di fede, coraggio e talento sono servite come strumento per le strategie espansionistiche dell’impero britannico. Lawrence appartiene a questo cerchio magico della verità pronta a esplodere.
Dalle centinaia di sfumature d’espressione all’aspetto angelico, con Lawrence, il talentuoso emergente attore irlandese è entrato di prepotenza nella storia dell’arte del recitare, risultando in largo anticipo sui tempi di decenni e, ad osservarlo oggi, sempre fresco e moderno attraverso le molte ad alcune francamente poco interessanti ere del cinema.
Una prova sublime paragonabile al miglior Marlon Brando degli anni migliori in cui a detta di Elia Kazan (regista tra gli alti di “Fronte del porto” del 1954), per un grande attore, o attrice, per definirsi tali, fosse necessario, anzi vitale, far convivere in dolce equilibrio, la propria dimensione femminile e maschile che è in ognuno di noi.
La straordinaria sceneggiatura, scene di battaglia che ridicolizzano per efficacia e maestosità gran parte delle produzioni degli ultimi 20 anni, un gusto per la bellezza quasi animista e sovrannaturale, ironia tagliente e un cast straordinario ed in stato di grazia, anche all’infuori di O’ Toole sono le mille altre frecce all’arco magico di questo capolavoro.
Riguardo il cast come non citare alcune scene memorabili come l’incontro (o forse meglio definire apparizione), con Sharīf ʿAlī ibn al-Kharīsh (Omar Sharif) e i dialoghi fermi e mai banali con l’Emiro Faysal (Alec Guinness) o con Awda Tabu Tayi ( Anthony Quinn)
L’altra menzione speciale va alla fotografia, perfetta (si, sì può usare questo termine nel cinema, non si va in galera) e limpida quasi a distaccarsi con decisione dalle tematiche di un’ambiguità inquietante ma magnetica e misteriosa.
Lawrence d’Arabia: il genio rivoluzionario di David Lean e la sua eredità
Il regista inglese riuscì a sverniciare e a svecchiare in tre ore tutto il cinema inglese dei 50 anni precedenti, seminando quanto di meglio della settima arte si potesse apprendere in termini di riprese, a campo lungo, lunghissimo anzi infinito. Come l’infinito negli occhi azzurri cielo di Lawrence. L’impressione di un gesto registico fuori norma e la misurata inquietudine di chi è pronto a rischiare tutto per una fantasia impossibile. È un film epico, storico ma di persone vere, come di persone vere la storia è fatta. Aspetto che pochi insegnanti nelle scuole si sono sforzati di raccontare.
“Lawrence d’Arabia” è questa fantasia; il parto di una immaginazione illimitata, l’esito di un’avventura che inchiodò il regista e la sua troupe per quindici mesi nel deserto del Wadi Rum al fine di catturare dal vero il lavorio del vento sulla sabbia, lo spiare improvviso di un’alba al limitare della rena o il tremolio di uno sfondo arso dalla calura.
Lo stesso O’Toole, a una intervista rilasciata a Oriana Fallaci, confidò di quanto lo avesse profondamente segnato quell’esperienza bellissima ed estenuante.
Un film che sembra quasi un grande spettacolo teatrale che utilizza le sabbie roventi del deserto come palcoscenico e che non a caso, con i suoi dialoghi scritti a quattro mani da Robert Bolt, Michael Wilson, si pone come un lavoro sopraffino di sintesi drammatica che è tipica della drammaturgia teatrale. Tanti registi cresciuti negli anni 70 come Spielberg, Scorsese e Bertolucci si ispireranno alla lirica e alle tecniche registiche di Lean. I primi due nel 1989 finanzieranno insieme alo stesso Lean il restauro cromatico della pellicola.
Nella vicenda reale del tenente Thomas E. Lawrence, che ispirò e condusse la rivolta araba in Medio Oriente al tempo del Primo Conflitto Mondiale, Lean indovina quella miracolosa congiunzione di storia (sono quelli gli anni cruciali in cui le ingerenze europee contribuirono a rendere il medio oriente ancora più frammentato e caotico di quanto già non fosse in precedenza) e leggenda, che gli permetterà, in una vertiginosa messa in discussione di se stesso e del proprio cinema, di costruire una liberissima epica dello sguardo e riesce come pochi altri artisti prestati al cinema di raccontare con assoluta precisone il significato vero e profondo dell’andare contro tutto e tutti con paura, coraggio e tanta follia.
Il vero miracolo del film è di averle fatte incontrare, queste tre emozioni primarie, mettendole le une davanti alle altre tramite immagini che rimarranno impresse per sempre nella storia del cinema e nell’immaginario collettivo mondiale.
Amerigo Biadaioli
A mio babbo, Roberto che mi ha fatto sentire il rumore del vento che fischia forte, fuori dalla tenda.
Trama
- Regia: David Lean
- Cast: Peter O’Toole, Anthony Quinn, Alec Guinness, Arthur Kennedy, Donald Wolfit, L.S. Johar, Gamil Ratib, Michel Ray, John Dimech, Zia Mohyeddin, Anthony Quayle, José Ferrer, Peter O’Toole, Claude Rains, Jack Hawkins, Omar Sharif
- Genere: Storico, colore
- Durata: 212 minuti
- Produzione: Gran Bretagna, 1962
“Lawrence d’Arabia” è un film di David Lean che racconta la vera storia del tenente colonnello Thomas Edward Lawrence inviato in Egitto dal governo inglese a guidare la rivolta araba per contrastare la crescita l’avanzata dell’impero ottomano.
Lawrence d’Arabia: la trama
Cairo, 1917. Il tenente inglese Thomas E. Lawrence, agente segreto e cartografo militare, viene inviato dal governo britannico, presso l’Emiro Feysal per valutare le intenzioni e il ruolo degli Arabi nel contesto della Prima Guerra Mondiale. Affascinato dal deserto e dalla cultura araba, Lawrence raduna sotto di sé le tribù mercenarie sparse per il territorio e le guida in una traversata del deserto giordano, alla conquista di Aqaba, in Giordania, ritenuta imprendibile.