Con “Le buone stelle – Broker” il talentuoso regista giapponese Hirokazu Kore’eda si sofferma ancora una volta sulla famiglia e sui doveri genitoriali.
Le buone stelle – Broker: la ricerca del senso di appartenenza
Siamo nel Sud Corea, a Busan, dove, nella baby box di una chiesa viene lasciato un bambino. Alla giovane madre, sembra il modo migliore per garantirgli un futuro. La baby box però non è una certezza: alcuni broker che lavorano per il Pastore della chiesa, traggono profitto sulla vendita dei piccoli e, anche lasciati nel loro orfanatrofio, possono rendere il sussidio governativo. La giovane madre ci ripensa e torna a prendere il figlio scoprendo il traffico illecito dei due uomini con i quali entrerà in affari pur di allontanarsi dal luogo dove è stato commesso anche un omicidio.
Il let motiv di Kore’eda è la ricerca passionale del senso di appartenenza al nucleo natio e questo si può esprimere solo laddove l’essere genitori significa assumersi la piena responsabilità e la totale cura di colui che viene al mondo. Al genitore è chiesto di dire, anche se fosse per un’unica volta, “grazie di essere nato”.
Il regista giapponese varca il confine coreano e gira il suo nuovo film nel Paese che più di ogni altro, in questo momento, è sotto l’occhio dei riflettori e si aggiudica, infatti, anche la presenza di attori ormai noti al grande pubblico internazionale primo tra tutti il protagonista di “Parasite“, Oscar 2020, Song Kang-ho e la bravissima Lee Ji-eun, cantautrice e attrice sudcoreana, in arte IU; non manca inoltre l’intensità di Bae Doo-na che impersona la giustizia, nei panni di una poliziotta.
Il filo conduttore della filmografia di Kore’ada
La bravura di Kore’eda è emersa con “Un affare di famiglia“, premiato con la Palma d’Oro al Festival di Cannes 2018 e con “Le Verità“, candidato al Leone d’oro, a Venezia nel 2019.
Con “Le verità“, una produzione franco-giapponese, Kore’eda dopo essersi trasferito nel paese culla della Novelle Vogue, con un cast luminoso di star come Juliette Binoche e Catherine Deneuve, ha voluto raccontare, per la prima volta in lingua europea, l’esito di relazioni mancate all’interno di una famiglia, giunta all’età della maturità e di un vissuto già consolidato: una madre, la Deneuve, attrice di successo, che non ha saputo coltivare il rapporto con la figlia, Juliette Binoche, con la quale resta una distanza insormontabile.
“Un affare di famiglia” sembra, oggi, il preludio a “Le buone stelle – Broker”, due facce della stessa medaglia che mostrano la debolezza dei legami famigliari, corrotti da una politica che ha perso il suo interesse nella cellula primaria societaria, appunto la famiglia. La Corea che racconta Kore’eda è una Patria di figli senza padri, di padri che non hanno saputo diventare genitori, di donne gravide di dolore che hanno mancato la loro maternità.
Un film sul riscatto del valore della famiglia
Kore’eda compie egli stesso un road-movie: nella ricerca continua di nuovi set, nuove co-produzioni, cast internazionali, sembra perdere l’intuizione talentuosa del suo cinema. Perde anche il suo Giappone, la sua antica e affascinante tradizione cinematografica, primo dei quali il cinema di Ozu dal quale Kore’eda stesso afferma di aver attinto per il suo approdo nella Settima Arte.
Con questo lavoro, il regista ammette che la società e le istituzioni dovrebbero diventare l’ombrello che può riparare dalla pioggia; eppure, c’è acqua da ogni parte e l’unico ombrello è in mano a chi dell’essere orfano ha fatto motivo di soccorso e di aiuto verso il suo simile, colpevole del dolore dell’abbandono, dandogli il suo perdono.
Per questo “Le buone stelle – Broker” vuole essere un film sul riscatto del valore della famiglia, comunque questa sia: fuori dalla norma o tradizionale. Però, Kore’eda rischia di perdere la fragranza della pietanza ricercata, troppo intrisa di spezie che fanno a pugni con i sapori tradizionali e lontani.
Il rischio del regista giapponese è quello di farsi ammaliare dal facile successo di cibi precotti e pregustati, rincorrendo le nuove tendenze, le star del momento, le produzioni favorevoli, senza saperle mesciare nel modo appropriato e perciò restituendo al pubblico un gusto non del tutto piacevole, mangiabile, ma non gustoso come lo è un piatto tipico.
Rita Ricucci