Il regista James Mangold – che ha diretto capolavori come “Logan” e “L’Amore brucia l’anima” – e Remo Girone, che nella pellicola presta il volto al venerabile Enzo Ferrari, hanno oggi incontrato una platea di giornalisti alla Casa del Cinema, dopo la proiezione di “Le Mans 66 – La grande sfida”.
Le Mans 66 – La grande sfida: un’amicizia che va oltre la leggenda
La conferenza è iniziata con Remo Girone che si è mostrato grato al regista per le cose che ha appreso da lui, che sa lavorare oltre la macchina da presa. Mangold ha poi risposto alla domanda sulla contrapposizione tra denaro e talento nella pellicola come metafora di Hollywood e del mondo, confermandone il nesso e ha poi affermato che nella società attuale lo sforzo per realizzare le cose mira a evangelizzare e convincere gli altri, mentre il suo film è per certi versi romantico e frutto di una personale scelta di voler entrare in quell’arena.
Mangold inoltre ha parlato del rapporto con Damon e Bale, conosciuti da 20 anni e attori generosi che amano il proprio lavoro e queste condizioni lo hanno fatto sentire come se girasse un film tra amici, mentre Girone si è detto soddisfatto di avere prestato il volto ad un personaggio conosciuto universalmente, nonostante in quel contesto venisse visto come l’uomo da abbattere.
Il regista ha poi sottolineato la complessità della ricerca per realizzare il film, frutto di uno sforzo monumentale fatto di documentari, filmati e registrazioni, da cui, in alcuni casi, ha tratto il testo per i dialoghi tra i personaggi, ispirandosi ad essi per il modo di vedere le cose e per raccontare il matrimonio tra Miles e la macchina da gara.
“Le Mans 66 -La Grande Sfida“, ha affermato, è realistica ed è la descrizione di un mondo crudele, dove ognuno cerca sempre di fottere l’altro in ogni modo possibile, cercando di vincere così questa guerra psicologica e per quanto riguarda Le Mans la macchina deve girare e funzionare per 24 ore continuative ed il vincitore è puro, perchè in questo modo nessuna vittoria può essere comprata, essendo sotto gli occhi di tutti.
Il regista ha spiegato che il film non descrive i suoi sentimenti, ma ricostruisce i fatti, senza fornire alcuna risposta, anzi facendo in modo che la visione porti a porgersi delle domande.
Le Mans 66 – La grande sfida: il lato nascosto di un sogno
Mangold ha amato quella storia, non semplice, ma complicata ed ha descritto l’automobile come una grande metafora della vita del XX secolo, cosa che la rende estremamente interessante ed ha evidenziato come ognuno di noi indossa una maschera quando sale sulla macchina e tutto questo ci rende persone diverse e ha un significato molto importante. Il regista ha poi risposto a un complimento sulla fotografia della pellicola, dal notevole impatto estetico, ricordando che il direttore della fotografia Papamichael ha collaborato con lui in altri capolavori da lui diretti ed ha spiegato come il loro sia un obiettivo comune, cercare la vita interiore e portare alla luce la bellezza del personaggio.
“Il cinema è l’unico mezzo che può fotografare il pensiero umano, non le parole, ma il pensiero e quel tipo di verità è quello che mi interessa” ha affermato Mangold citando una battuta di Damon nel film che in una scena intensa e commovente dice “Non parole ma attrezzi”.
Ha poi spiegato che il processo di montaggio è stato un vero mix e che la sua maggiore sfida è stata realizzare qualcosa che fosse entusiasmante e non noioso come le gare che si vedono in televisione e per quello ha scelto di portare l’attenzione a quello che accadeva dentro la macchina, al suo interno, in modo da puntare sulla strategia e coinvolgere nell’azione.
Ha poi chiuso parlando del personaggio del figlio di Miles , voluto come simbolo di “qualcosa che va oltre” per poter così realizzare un finale con grazia ed offrire a tutti un cuscino su cui atterrare in una storia dall’epilogo duro e devastante.
Chiaretta Migliani Cavina
08/10/2019