“La legge di Lidia Poët”, con protagonista Matilda De Angelis, ha debuttato su Netflix il 15 febbraio 2023. Divisa in 6 episodi e diretta da Letizia Lamartire e Matteo Rovere, racconta la storia della giovane Lidia Poët, prima donna a entrare nell’Ordine degli Avvocati in Italia. Un percorso ad ostacoli che l’ha resa un simbolo e un esempio d’emancipazione femminile, in un periodo, alla fine del 1800, quando i diritti delle donne le vedevano solamente impegnate nell’essere compagne degli uomini. Nel cast della serie tv sono presenti anche Eduardo Scarpetta, Pier Luigi Pasino, Sinead Thornhill, Sara Lazzaro, insieme a molti altri.
Tra realtà e finzione, Matilda De Angelis interpreta il personaggio realmente esistito di Lidia Poët, centrale nel panorama italiano, fondamentale nelle difesa dei diritti delle donna e del diritto penitenziario. La serie tv inizia quando a una giovane Lidia Poët non viene concessa l’iscrizione all’Albo degli Avvocati. Si ritrova così costretta, sola e senza lavoro, a venire ospitata dal fratello maggior, Enrico, sposato e con una figlia, affermato avvocato. Entrando in contatto con il cognato di Enrico, Jacopo, giornalista e con i clienti del fratello, Lidia Poët riesce a dare prove delle sue capacità analitiche e della sua ricerca della giustizia, portando lo stesso Enrico, dapprima riluttante, a sostenerla e aiutarla sia nell’esercizio della professione, che nel ricorso che Lidia presenterà in tribunale. Gli ostacoli non mancheranno e nonostante l’opinione pubblica e le persona a lei vicine, la decisione ultima dipenderà solo dai membri della Corte d’Appello. Ma vediamo la storia vera che è alla base della nuova serie Netflix.
La vera storia di Lidia Poët
Lidia Poët nacque a Perrero, il 26 agosto del 1855, ultima di 8 fratelli e appartenente a una famiglia benestante, trascorre la sua infanzia in Valle Germanasca, valle alpina della città di Torino, trasferendosi poi a Pinerolo e successivamente in Svizzera, nel distretto di Morges, per frequentare il Collegio delle Signorine di Bonneville dove si diploma nel 1871 ottenendo la licenza di Maestra Superiore Normale. Nel 1874 consegue anche la patente di Maestra di inglese, francese e tedesco e torna a Pinerolo, dove da anni viveva Enrico, fratello maggiore e avvocato noto e affermato. Decisa a proseguire gli studi, dopo aver frequentato il liceo Giovanni Battista Beccaria a Mondovì, si iscrive all’Università. Dopo alcuni mesi studiando medicina, cambia facoltà passando a legge. Laureatasi nel 1881 e concluso il praticantato, Lidia Poët aveva ogni requisito per l’iscrizione all’Albo degli Avvocati e Procuratori: superò il test d’abilitazione con il punteggio di 45/50 e trovò il presidente Vegezzi e 4 consiglieri favorevoli al su futuro come avvocato.
Iscritta quindi all’Ordine e pronta a svolgere la professione iniziarono i primi di una lunga serie di ostacoli che sarebbero durati anni: due avvocati si dimisero in segno di protesta dopo l’iscrizione della Poët e il procuratore generale del Regno presentò un ricorso alla Corte d’Appello di Torino che, nel giro di pochi mesi ordinò che Lidia Poët venisse cancellata dall’Albo. La stessa Lidia Poët presentò un’istanza che venne però respinta. La Corte d’Appello dichiarò pubblicamente che “la donna non può esercitare la professione d’avvocato“, portando a sostegno le differenze naturali tra uomini e donne “insite nel genere umano“. Nella sentenza veniva esplicitamente detto che in tribunale alcuni discorsi avrebbero potuto turbare le donne più oneste, che la toga degli avvocati non poteva essere indossata sopra quegli abiti “bizzarri” utilizzati dalle donne. La figura femminile, continuava l’istanza, avrebbe potuto inoltre distrarre gli uomini presenti in tribunale; l’indole, il fisico, il ruolo da seguire e le mancate caratteristiche all’epoca considerate assenti nell’animo femminile: come la determinazione, la severità, la tenacia e le maggiori forze intellettuali nel perseguire giustizia e moralità erano le prove essenziali che non permettevano alle donne di esercitare alcuni affari pubblici, come la professione d’avvocato.
Opinione pubblica e stampa estera
Nonostante ciò quanto accadde, come si vede nella serie “La legge di Lidia Poët” arrivò all’attenzione dei media e dell’opinione pubblica che in larga parte sosteneva la possibilità per le donne di ricoprire ruoli pubblici. La situazione arrivò addirittura all’attenzione della stampa non italiana e nel 1883 venne pubblicata un’intervista dove Lidia Poët raccontava gli anni della sua formazione citando le parole del senatore Cesare Bertea che durante la discussione della tesi si complimentò con lei. La tesi riguardava proprio la condizione femminile nella società e il diritto di voto per le donna: ecco che la revoca dell’iscrizione e l’impossibilità di esercitare la professione per cui aveva studiato e lavorato esattamente quanto gli uomini, divise così tanto l’Italia dell’epoca. Come è evidente in “La legge di Lidia Poët”, la Poët collaborò con il fratello presentandosi come sua assistente.
Nonostante le capacità della Poët nella professione d’avvocato e il ruolo di rilievo che ricoprì successivamente, diventando una delle più strenue sostenitrici dei diritti dei detenuti e dei minori, fu solo nel 1920 che la donna riuscì ad entrare ufficialmente nell’Ordine degli Avvocati. Negli anni precedenti venne ospitata a Roma, Parigi e San Pietroburgo partecipando a congressi internazionali sul sistema penitenziario e ricevendo importanti onorificenze. Si unì al Consiglio Nazionale delle Donne Italiane, impegnandosi attivamente nella protezione dei minori e quindi anche nella regolamentazione del lavoro minorile, sia maschile che femminile e che troveranno poi in seguito la completa approvazione . Unendosi alla Croce Rossa Italiana durante lo scoppio della Prima Guerra Mondiale il 1919 fu un anno fondamentale per la vita e la professione di Lidia Poët.
Lidia Poët finalmente avvocata
Venne infatti abolita l’autorizzazione coniugale per la possibilità della donna di entrare nei pubblici uffici, una delle varie clausole presenti nella sentenza che revocò la sua richiesta anni prima. “Le donne sono ammesse, a pari titolo degli uomini, ad esercitare tutte le professioni ed a coprire tutti gl’impieghi pubblici, esclusi soltanto, se non vi siano ammesse espressamente dalle leggi, quelli che implicano poteri pubblici giurisdizionali o l’esercizio di diritti e di potestà politiche che attengono alla difesa dello Stato“, citava l’articolo 7 della legge, conosciuta come legge Sacchi. Fu così che nel 1920, all’età di 65 anni, Lidia Poët divenne la prima avvocata italiana. Lidia Poët, sepolta nel cimitero di San Martino, in Val Germanasca, morì a Diano Marina il 25 febbraio del 1949 all’età di 94 anni.