Il film “The Substance”, opera della regista Coralie Fargeat, si inserisce in un ampio panorama di narrazioni che esplorano i temi della bellezza perduta e della giovinezza desiderata. Attraverso una narrazione audace e disturbante, Fargeat affronta questioni etiche e morali legate all’identità e alla percezione di sé, rivelando la crudele verità che il desiderio di rimanere giovani può condurre a scelte devastanti. Un’opera che merita di essere scoperta nei cinema, grazie a una perfetta miscela di horror e glamour che segna un’importante tappa nel mondo del cinema contemporaneo.
Un’anteprima inquietante nel mondo della bellezza
Nel cuore di “The Substance” si trova la figura di Elisabeth Sparkle, interpretata da Demi Moore. Celebrata attrice di Hollywood, la cui bellezza le ha garantito un’aura di celebrità e successo, ora si trova in un momento cruciale della sua vita: ha superato i cinquant’anni e la sua carriera, insieme alla sua autostima, è in crisi. Il programma di fitness televisivo che conduce con orgoglio sembra ora essere minacciato dalla sua età. L’industria dell’intrattenimento, spietata e superficiale, non ha pietà: il suo manager, interpretato da Dennis Quaid, proclama senza troppi giri di parole che Elisabeth è “troppo vecchia”. Questo inizio non rappresenta solo il calo della carriera di una star; è un duro colpo psicologico per una donna che ha basato gran parte della sua identità sulla bellezza.
La regista Fargeat cattura l’essenza di questa disperazione attraverso la figura emblematicamente artificiale di Elisabeth, simbolo della cultura della giovinezza forzata. Il dolore della perdita di un ruolo di primo piano nella sua vita si traduce nell’urgenza di trovare una soluzione a questo apparente declino. La messa in scena di questa crisi personale viene rappresentata attraverso un linguaggio visivo che mescola il glamour sfumato di Hollywood con l’ansia di una bellezza effimera. La narrazione scivola nel fantastico, introducendo l’idea di un patto diabolico: una sostanza magica che promette di ringiovanire la sua immagine, riportandola ai vertici del successo. Qui, l’ambiguità morale del tema si fa palpabile, spingendo lo spettatore a riflettere sui limiti e le conseguenze di queste scelte.
Le due facce della stessa medaglia: clone vs originale
Il colpo di scena giunge quando Elisabeth decide di cedere alla tentazione. Con l’assunzione della misteriosa sostanza, si crea un clone perfetto di sé stessa, Sue, interpretata da Margaret Qualley. Questa dualità si traduce in una dinamica complessa e inquietante, che costituisce il nucleo centrale della storia: le due versioni di Elisabeth sono in competizione per l’attenzione del pubblico e per il riconoscimento sociale. La vita di Sue, giovane e attraente, si staglia contro la disperazione e il declino di Elisabeth, la cui bellezza ora appare come una maschera che non riesce più a celare la verità della sua realtà, ma che anzi amplifica il suo tormento interiore.
Fargeat utilizza abilmente l’elemento horror come mezzo per esporre le deformità psichiche che emergono nel momento in cui le due donne vivono in simbiosi. Ogni settimana una di loro vive nel mondo esterno, mentre l’altra giace, in uno stato di incoscienza, in un bagno insanguinato. La narrazione si tinge di toni forti, rendendo il corpo di Elisabeth non soltanto un veicolo di bellezza, ma anche un guscio in cui si agitano spettri di paura e frustrazione. La messa in risalto degli aspetti più macabri dell’esistenza femminile nella società contemporanea viene esemplificata in maniera viscerale, rivelando il prezzo che una donna deve pagare per mantenere un’immagine di successo e bellezza.
Critica sociale e riflessioni sulla cultura della bellezza
“The Substance” non si limita a un’analisi superficiale sulla bellezza; funge da satira sul mondo dello spettacolo e sulla società odierna. Attraverso un’estetica visivamente provocante e provocante, Fargeat pone l’accento sulla volatilità dei valori comuni, questionando il culto della bellezza a tutti i costi. Le inquadrature, amplificate e distorte, servono a sottolineare la superficialità di un sistema che premia l’aspetto esteriore, mentre ignora il tumulto emotivo e psicologico che ne deriva. Il film sembra richiamare l’opera di registi come David Cronenberg e Quentin Tarantino, non per il contenuto tematico in sé, ma per l’approccio incisivo e provocatorio di dare voce alle ansie umane attraverso il linguaggio del corpo e della deformità.
Centrale è la riflessione che ci invita a considerare la vera natura della bellezza: è effimera, mutevole e spesso illusoria. Fargeat utilizza un linguaggio cinematografico visivo, al limite del grottesco, per portare alla luce la vulnerabilità che accompagna la ricerca incessante della giovinezza e dell’accettazione. Il conflitto tra Elisabeth e il suo clone non è solo una battaglia personale, ma una rappresentazione metaforica della pressione sociale, un fissare lo sguardo sull’incessante giudizio di un mondo che richiede perfezione. La performance di Demi Moore, unita a quella di Margaret Qualley, conferisce al film una profondità e una complessità che rimangono impresse nella mente dello spettatore, mettendo in evidenza il prezzo che si paga in nome della bellezza.
La genesi di un’opera unica nell’industria cinematografica
Con una durata di 140 minuti e una produzione che coinvolge USA, Francia e Gran Bretagna, “The Substance” si presenta come un’opera di grande respiro e ambizioni artistiche. La regista Coralie Fargeat, già nota per il suo lavoro in “Revenge” , riconferma il suo stile distintivo, mettendo in risalto il femminile in un panorama cinematografico storicamente dominato da voci maschili. Il film, con il suo mix di horror, satira e dramma personale, crea una narrazione audace che sfida le convenzioni del genere.
La critica ha accolto il film con pareri controversi sin dall’anteprima al Festival di Cannes, dove ha suscitato reazioni variegate. Le avventure visive di Fargeat, ricche di colori saturi e di immagini grottesche, hanno conquistato una fetta di pubblico, anche se non priva di detrattori. “The Substance” ha il potere di stimolare riflessioni profonde su argomenti delicati, rendendolo un’opera di riferimento per chi ama il cinema come specchio della società.
In un panorama dove l’identità e l’autoaccettazione sono al centro del dibattito, “The Substance” emerge come un’opera provocatoria che interroga l’essenza stessa della bellezza e le sue implicazioni sulla vita quotidiana delle donne, portando alla luce l’idea che, in ultima analisi, non esiste una soluzione semplice alla questione dell’invecchiamento e della perdita di controllo.