Recensione
L’ombra di Caravaggio: Michele Placido porta sullo schermo il grande artista
Arrogante, eccessivo, assiduo frequentatore di bordelli e dei più oscuri bassifondi della città eterna, violento attaccabrighe, ora persino assassino e con una condanna a morte che lo perseguita ovunque si nasconda. Nell’estate del 1609 il pontefice Paolo V Borghese deve valutare se concedere o meno la grazia a cotanto personaggio, Michelangelo Merisi, proveniente da un piccolo paese lombardo, Caravaggio, ma stabilitosi da dodici anni a Roma. Quali sono i dubbi che attanagliano il Papa? E perché buona parte del clero, a cominciare da suo nipote, il cardinal Scipione, e dei nobili di Roma, in primis la Marchesa Costanza Colonna, fanno di tutto per fargliela concedere? E come mai i suoi colleghi, i pittori che in quegli anni lavorano a Roma, membri dell’Accademia che ricercano il bello alla maniera di Raffaello e Michelangelo, e per questo passeranno alla storia con l’epiteto di Manieristi, ce l’hanno tanto con lui, che invece persegue il vero nelle sue rappresentazioni? Per cercare queste risposte Paolo V incarica ad un emissario, l’Ombra, di ripercorrere la rete di amicizie e di inimicizie del Caravaggio, di scoprire nelle pieghe del tempo le ragioni primarie delle sue scellerate azioni.
Placido realizza un film ben costruito e si ritaglia un bel ruolo
Appassionata e imperfetta l’ultima fatica di Michele Placido, come appassionata e imperfetta è stata la vita del Merisi. Il ritratto che lentamente si svolge sotto i nostri occhi, a mano a mano che avanzano le ricerche dell’Ombra, è quello di un uomo che assecondava le proprie passioni, che non disdegnava l’amore di un fanciullo o la visita a un bordello, il gioco d’azzardo e una bella scazzottata, ma che quando l’ispirazione artistica lo colpiva, immediatamente la assecondava, il Merisi si trasformava in Caravaggio, e la tela che aveva davanti diventava il luogo dove l’artista riversava tutto il suo genio.
Un plauso alla sapiente regia di Michele Placido, che si ritaglia il bel ruolo del cardinal Del Monte, e naturalmente a Riccardo Scamarcio, convincente nei non facili panni di Caravaggio. Tra i molti attori scelti, anche per pochi ciak, ricordiamo Isabelle Huppert (Marchesa Colonna), Lolita Chammah, figlia della Huppert e Micaela Ramazzotti (due prostitute, muse del pittore) e, ci perdonino gli altri attori non nominati, un Alessandro Haber in grande spolvero, irresistibile nei panni (pochi) di…S. Pietro.
L’ombra di Caravaggio: un film con qualche imprecisione
Forse l’unico punto debole del film, oltre a qualche ‘buchino’ nella sceneggiatura, ma in due ore non si poteva raccontare proprio tutto, si è rivelato Louis Garrel, interprete dell’Ombra. L’attore francese risulta troppo rigido, troppo ‘legnoso’ nella sua recitazione. Inoltre, rappresentare l’unico personaggio inventato, ideato apposta per il film e motore della narrazione, solo come accomodante coi potenti, arrogante e violento con i poveracci, davvero delude. Anche lo script doveva e poteva definire meglio una figura così centrale. Altri appunti si potrebbero fare riguardo lo scarso peso che ha nel film l’invece potentissimo cardinale Scipione Borghese, nipote del papa, e registrare l’adesione assoluta degli autori alle ultime teorie riguardanti la morte di Caravaggio, che contrastano con secoli di storiografia ufficiale.
Daniele Battistoni