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Macbeth – Recensione

  • Regia: Justin Kurzel
  • Cast: Michael Fassbender, Jack Reynor, Marion Cotillard, David Thewlis, Elizabeth Debicki, Sean Harris, Paddy Considine, David Hayman, Maurice Roëves, Shane Salter, Lynn Ferguson, Rebecca Benson, Barrie Martin, Stephen McDade, Paul Ellard, James Michael Rankin, Ross Anderson
  • Genere: Drammatico, colore
  • Durata: 113 minuti
  • Produzione: Gran Bretagna, 2015
  • Distribuzione: Videa – CDE
  • Data di uscita: 5 Gennaio 2016

Il regista australiano Justin Kurzel dirige Michael Fassbender e Marion Cotillard in una nuova messa in scena del “Macbeth” in bilico tra antico e moderno con un’opera che può spiazzare lo spettatore

macbeth-foto.jpgCi vuole un grande coraggio per mettere in scena il Macbeth di Shakespeare, detto anche il ‘dramma scozzese’ dai più superstiziosi a causa della sua cattiva fama nel mondo del teatro. A molti anni di distanza da Orson Welles e Roman Polanski, ci prova il giovane regista australiano Justin Kurzel con un cast d’eccezione formato da Michael Fassbender e Marion Cotillard. Il risultato è un film molto bello visivamente e dal punto di vista attoriale, ma con una regia che non riesce a trovare la sua strada.
Iniziamo col dire che Kurzel ha scelto di far parlare le sue due star nell’inglese del tempo del Bardo con successo, privilegiando quindi in fondo una mise en space quasi teatrale e fedelissima al testo, che rende il film perfetto per una versione originale senza doppiaggio. Su questo impianto però ha inserito anche una chiave di lettura molto dinamica che ricorda da vicino “Braveheart” di Mel Gibson.

“Macbeth” si apre con la scena cupa del funerale del figlio di Lady Macbeth tra le nebbie scozzesi, seguita immediatamente da un combattimento sanguinoso che vede vincere il barone di Glamis e il suo fido compagno Banquo contro i traditori della Corona. L’arrivo di tre donne misteriose è l’evento che scatenerà la tragedia, con i loro vaticini sul futuro dei due guerrieri, di cui uno sarà re di Scozia e l’altro capostipite di una stirpe reale.

Nessun drammaturgo come Shakespeare è riuscito a raccontare i chiaroscuri dell’animo umano, in una dimensione senza tempo. La brama di potere diventa per Macbeth un potente veleno, che avvelena l’anima anche grazie alle istigazioni di sua moglie piegata dalla morte del suo bambino. La regia segue il cadere inesorabile degli eventi, suggerendo una chiave di lettura assolutamente originale. Il re e la regina , che si sono macchiati le mani di sangue, sono in fondo un uomo e una donna alla deriva che si attaccano ad un trono non meritato per restare uniti.

Il film di Kurzel resta in una sorta di zona grigia tra dramma teatrale antico e chiave di lettura contemporanea. Macbeth/Fassbender è rappresentato come un soldato affetto da stress post traumatico manovrato da una Lady/Cotillard manipolatrice nella sua fragilità. C’è una sensualità quasi disperata tra loro, che esplode in un paio di scene sublimi nella solitudine del palazzo, che rappresenta metaforicamente quella della loro stessa esistenza.

Fassbender e Cotillard, due straordinari mattatori calati nelle nebbie della loro anima

Con “Macbeth” il regista australiano è riuscito senz’altro a dare vita ad un’opera complessa e forte dal punto di vista emozionale anche grazie alla grandezza dei suoi attori, tra i migliori sulla piazza. Tuttavia, la premiata coppia non basta a supportare una regia ibrida che non riesce a decidere tra la chiave di lettura contemporanea e quella più tradizionale. Questa ennesima edizione cinematografica del Macbeth è una vera gioia per l’occhio dello spettatore trasportato letteralmente nelle nebbie scozzesi grazie alla fotografia di Adam Arkapaw e alle location fantastiche.

Un discorso a parte, infine, va fatto per i combattimenti sul campo di battaglia girati con dei sapienti rallenty enfatizzati dalla martellante colonna sonora. Ottima la performance dei figuranti esperti rievocatori storici di battaglie e dei loro maestri d’armi.

Si resta, comunque, spiazzati per le troppe suggestioni evocate che sono più quelle di “Braveheart” e di “300” che quelle cupe della versione di Polanski, molto più efficace nell’evocazione delle streghe e dei fantasmi del Bardo.

Ivana Faranda

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