Un Matt Dillon disponibile e garbato intrattiene la stampa all’Auditorium
Matt Dillon, presidente della giuria che assegnerà il premio Camera d’Oro Taodue di Alice nella città, ha incontrato la stampa nella saletta Meeting dell’Auditorium, decisamente inadeguata per contenere la folla di giornalisti che voleva parlare col famoso attore, che ha detto di non aver mai fatto prima d’ora il Presidente di una Giuria. Riconosce che sia un lavoro complicato: “Non sono stato presidente di nulla, e sono stato onorato e lusingato dalla proposta.
E’ una cosa non facile perché il concetto di concorso nel caso di un’opera creativa è difficile da gestire, e mi complimento con chi ha selezionato le pellicole perché tutte meritano. Per me il film ideale deve essere un film autentico, che deve partire dai personaggi, ovviamente la linea narrativa è importante, ma per me quello che conta è la coerenza dei personaggi”.
Matt Dillon parla del lavoro da regista e del documentario al quale sta lavorando
L’affascinante attore parla generosamente di se stesso e del motivo per cui abbia voluto cimentarsi dietro alla macchina da presa: ”Lo stesso che mi ha spinto a fare l’attore: raccontare una storia; ritenevo di avere qualcosa da dire, quando le proposte che mi facevano non mi sono sembrate tanto interessanti ho pensato di fare qualcosa di mio. La mia prima volta come regista l’ho potuta affrontare grazie all’esperienza come attore, ed ora mi ritrovo a giudicare opere prime e seconde.
Io, dopo la mia opera prima ho continuato a fare l’attore, ed ora da un po’ mi sto occupando di un documentario, un lavoro più complicato di quello del fare un film di finzione, devi scrivere e curare tante cose”.
Girare un film è stata per lui “l’esperienza più piacevole della carriera”, e non crede alla fortuna nel lavoro dell’attore:”Se ci lavori su, con impegno, alla fine fortuna e sfortuna si equivalgono”.
Il moderatore, Claudio Masenza, si dice dispiaciuto per il fatto che la sua opera prima, “City of Ghost”, sia stata poco vista in Italia, e a riguardo Dillon dice di esser più che sicuro che “la colpa non è di Domenico Procacci, che l’ha distribuito con passione”.
Continua a parlare del suo documentario, dicendo che per lui innanzitutto “costruire una storia è emozionante”, e di come il progetto di questo documentario abbia radici lontane, precedenti alla realizzazione della sua opera prima, a quando, nella fine degli anni novanta, si recò in Messico per registrare la musica del cubano Fellove, la pellicola infatti intende ripercorrere la vita dell’artista, chiamato da tutti “Il grande Fellove”, che sarà probabilmente il titolo del docufilm.
“Si tratta della vita di questo artista ma anche della musica di quel periodo, di tanti cantanti che sono andati da Cuba, dove non riuscivano ad emergere, in Messico”, dove hanno trovato il giusto ambiente in cui affermarsi, non rimanendo immuni alle contaminazioni della musica afrocubana. “Negli anni 50 Citta del Messico era il centro culturale dell’America latina, il bello del documentario è che ti permette di viaggiare nel tempo”.
Matt Dillon: un Presidente di Giuria con fascino da vendere e un cervello ben funzionante
Quando gli si chiede quale sia il personaggio preferito che abbia mai interpretato, ammette di odiare la domanda: ”Di fronte ad ogni personaggio cerco di entrare nel ruolo personalizzandolo, poi me lo lascio alle spalle, non ci penso più. Vivere diverse vite attraverso il mio lavoro è meraviglioso”.
Per l’attore americano ciascuno di noi è il frutto delle circostanze in cui ci si è trovati, “per me realizzare un film è molto personale, in questo documentario parlare di un uomo che nasce povero, nero, riesce a superare le difficoltà, un uomo che rimane molto modesto, ma quando cantava diventava ‘grande’, è per me importante, tanto quanto non dimenticare le proprie origine.
Io sono fortunato a fare un mestiere creativo, e non imprigionato in un lavoro che odio, ma non dimentico da dove vengo e non mi confronto mai con i colleghi”.
Questo mi porta a riflettere sul mio ruolo di Presidente della Giuria, in cui dobbiamo per forza fare i confronti, ma è difficile ragionare in questi termini, anche se alla fine bisognerà per forza fare delle scelte, ricordando che il premio aiuterà questi artisti a proseguire nel loro lavoro.
Questi film trattano tematiche che riguardano i giovani e le difficoltà che devono superare, e sono tutte di ottimo livello”.
Sorride precisando che non ha mai amato far parte di una giuria, stare tante ore chiuso in sala, per questo ha sempre declinato queste proposte, stavolta se l’è sentita “i film dovevano essere otto, ma anche dodici va bene”, conclude sorridendo.
Maria Grazia Bosu