Recensione
Minari: tra inquietudine e speranza
“Minari”, diretto da Lee Isaac Chung, con protagonista Steven Yeun, è un film delicato, elegante e raffinato nella sua semplicità. Ciò che la pellicola racconta, attraverso la descrizione della vita quotidiana, sfiora il senso profondo dell’esistenza e della soddisfazione personale: la creazione di una fattoria di famiglia contro un lavoro alienante e un’interiore volontà di realizzare un sogno perduto. L’individualismo, il desiderio di portare il proprio mondo e le proprie tradizioni nelle metropoli industriali che si sono allontanate dalla terra, rappresentano così una rivisitazione dell’american dream. Il protagonista Jacob diventa imprenditore di se stesso per coltivare i veri prodotti del suo Paese e portarli in città; in particolare a tutte quelle famiglie coreane che sempre più spesso si trasferiscono negli Stati Uniti.
La famiglia al centro della narrazione vive di continue contraddizioni. La nonna Soonja è così profondamente legata a un immaginario lontano dalle abitudini statunitensi e dall’ideale di nonna che ci si potrebbe aspettare. Il riscatto e la rivalsa personale di Jacob si scontrano con il bisogno d’integrazione della moglie e dei figli che inseguono quei comfort e quella sicurezza che sembra tanto finta quando uno spot pubblicitario degli anni ’80, epoca nel quale “Minari” è ambientato. Nel cuore pulsante della provincia americana più rurale, tutti quei personaggi che mostrano ignoranza e latente sospetto della diversità si rivelano più accoglienti e di buon cuore di quanto potrebbe inizialmente apparire.
Minari capace di crescere ovunque
Dal retrogusto amaro e malinconico, lavorando di sottrazione, il film segue le difficoltà che la famiglia si trova ad affrontare e che aumentano sempre di più. Scena dopo scena si va a costruire un affresco di tutto ciò che unisce un nucleo familiare dagli obiettivi diametralmente opposti. La necessità di sentirsi padroni della propria vita si trasforma nel bisogno di dar luce a un’esistenza che sia Jacob che Monica sentono di aver vissuto sempre nell’ombra. Il protagonista è la personificazione dell’importanza di costruire il proprio futuro e quello della propria famiglia, dell’essere causa e conseguenza di ciò che gli accade attorno. La sua personale fattoria si concretizza nell’incontro tra le due terre che sono ormai per loro due nuovi mondi capaci di sopravvivere insieme.
Quella di Lee Isaac Chung si rivela una pellicola magistralmente interpretata, capace di trasmettere sensibilità e dolcezza in ogni rapporto che, nel corso della storia, va a costruirsi e ad evolversi. “Minari” gioca di opposti: dalla piccola e angusta casa alle distese di verde che circondano la roulette; dalla spoglia e incolore azienda dove Jacob e Monica lavorano a quello scorcio di benessere e comodità che trapela dalla città che la famiglia visita saltuariamente. Una regia attenta e leggera traccia un ritratto preciso e intimo di un nucleo in crisi, una crisi che trova la sua frattura in una fiducia dimenticata. Il film propone così un sotto-testo che sembra suggerire che non sempre ciò che si vuole è ciò di cui si ha bisogno.
Giorgia Terranova
Trama
- Regia: Lee Isaac Chung
- Cast: Steven Yeun, Han Ye-ri, Alan Kim, Noel Kate Cho, Youn Yuh-jung, Will Patton
- Genere: drammatico
- Durata: 115 minuti
- Produzione: Stati Uniti, 2020
- Distribuzione: A24
- Data d’uscita:
Presentato al Sundance Film Festival 2020, “Minari” è un racconto semi autobiografico del regista Lee Isaac Chung. Distribuito in edizione limitata negli Stati Uniti, il film con protagonista Steven Yeun, ha accresciuto la propria popolarità con la vittoria ai Golden Globe come Miglior Film straniero e la candidatura all’Oscar nella categoria Miglior Film e Miglior attore protagonista a Steven Yeun, insieme a altre 4 nomination.
Minari: la trama
Anni ’80, la vita della la famiglia Yi, composta da Jacob, Monica e i figli David e Anne cambia radicalmente quando si trasferiscono negli Stati Uniti, nel cuore dell’Arkansas, in una casa-roulette immersa in una distesa di terreno ottima per avviare quella fattoria sempre sognata. Questo è quello che pensa Jacob, che sembra in realtà l’unico membro del gruppo realmente interessato alla coltivazione dei propri prodotti, da vendere poi in città. Devoti a un lavoro che non li basta né li gratifica, Jacob e Monica cercano in modi opposti di cambiare vita. A un tentativo arduo e difficile si aggiungono le complicazioni cardiache del figlio David e l’arrivo della madre di Monica, Soonja, personificazione delle tradizioni coreane che Jacob accoglie e allontana nella costruzione della fattoria di famiglia. Problemi economici e interpersonali diventano sempre più pressanti e insormontabili, così come una crisi di coppia percepibile nell’animo di ogni componente del nucleo familiare. Il sogno lavorativo di Jacob prende il sopravvento su bisogni e necessità, lasciando da parte tutto il resto.