Emanuele Barresi fallisce il tentativo di rinverdire la tradizione della commedia all’italiana, concependo un film banale con un cast poco brillante
Regia: Emanuele Barresi – Cast: Rocco Papaleo, Alba Rohrwacher, Paolo Ruffini, Cristina Birilli, Stefano Filippi – Genere: Commedia, colore, 95 minuti – Produzione: Italia, 2008 – Distribuzione: Eagle Pictures – Data di uscita: 8 Febbraio 2008.
Avviso: in questo film fanno capolino alcuni problemi del cinema italiano recente. Non si vuole gettare la croce addosso a quello che si annuncia e si svela come un divertimento lieve, garbato e niente altro, ma i difetti ci sono e vanno sottolineati soprattutto quando appaiono in quello che dovrebbe essere il cosiddetto “cinema medio”, vale a dire l’ossatura professionale e tecnica di una cinematografia.
La trama, in breve: ci troviamo a Livorno, dove una compagnia amatoriale, composta da un’umanità minuta e infelice, mette in scena da anni spettacolini da filodrammatica, trovando in questo passatempo una sorta di fuga da un’esistenza abbastanza noiosa e mediocre, fatta di disoccupazione, piccoli tradimenti, solitudine, precariato.
Di fronte alla prospettiva della chiusura del teatro ad opera di un ottuso padrone dello stabile, Tommaso Baciocchi (Andrea Buscemi), la compagnia reagisce decidendo di occupare lo stabile e di mettere comunque in scena “Cavalleria rusticana”. Come si vede il quadro è già ben delineato, anche troppo: elogio del teatro in una cornice da realismo minuto, con innesti di commedia all’italiana. Perché il film non funziona? Perché è tutto nell’assunto e non lo sviluppa affatto. Tutto rimane solo sulla carta del soggetto.
Primo difetto dunque nella sceneggiatura: la trama è terribilmente prevedibile, quindi nemmeno ci si è sforzati troppo nella scrittura. Se la storia è risaputa ed anche esile si potrebbe trovare un minimo di riscatto nelle trovate comiche. E qui è il brutto: in una commedia di gag praticamente non ce ne sono, solo qualche piccola notazione dolceamara, presa alla fonte delle pellicole di Virzì.
Quel cinismo che dava alla denuncia della “commedia all’italiana” una sua forza dirompente e allo stesso tempo portava ad un divertimento sfrenato qui manca del tutto: le figurette ritagliate in fase di scrittura sono deboli e simpatiche, ma prive di ambiguità, o meglio le ambiguità vengono rimosse o giustificate, così il potenziale comico si sgonfia decisamente, a favore di elementi poeticizzanti, che francamente infastidiscono e non aggiungono nulla. La regia purtroppo sembra da fiction e si limita a seguire blandamente la sceneggiatura, se si eccettua l’ideuzza di commentare le varie vicissitudini dei protagonisti con le musiche della “Cavalleria rusticana”.
L’ultima carta sarebbe quella degli attori. Anche qui poco: non essendoci vere e proprie gag, nessuno, nemmeno Pisu o Papaleo, può lasciar andare le briglie. Si istrioneggia, ma senza battute e la recitazione così sforzata gira a vuoto. Il tutto si conclude in una semplice constatazione che il teatro, con la sua forza di astrazione, sublima ciò che già succede in una vita grigia, e gli da spessore. Ovvio ed è poco, troppo poco, anche per novanta minuti di semplice intrattenimento.
Francesco Rosetti