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Paolo Cognetti guida il pubblico tra le vette del Monte Rosa nel documentario “Fiore mio”

In un prezioso racconto visivo, Paolo Cognetti, noto scrittore e documentarista, esplora il suo legame profondo con la montagna nel suo lavoro “Fiore mio”. Questo film non solo celebra la bellezza del Monte Rosa, ma solleva anche riflessioni sull’impatto del cambiamento climatico e sull’importanza della natura nella vita dell’autore. Con un approccio poetico e contemplativo, Cognetti invita lo spettatore a scoprire il mondo naturale attraverso il suo sguardo appassionato, accompagnato dall’affetto del suo fedele compagno a quattro zampe.

La connessione tra Paolo Cognetti e la montagna

La montagna rappresenta per Paolo Cognetti non solo un ambiente fisico, ma anche un rifugio spirituale. La sua passione per la montagna è evidente in diverse opere, fra cui il romanzo “Le otto montagne“, un successo che ha recentemente conquistato anche il grande schermo. Il Monte Rosa è al centro della sua storia, un simbolo della bellezza impermanente della natura. Negli ultimi anni, i frequenti cambiamenti climatici e la siccità estiva del 2022 hanno profondamente influenzato il pensiero di Cognetti, spingendolo a iniziare un viaggio intimo attraverso il suo paesaggio montano.

Paolo Cognetti guida il pubblico tra le vette del Monte Rosa nel documentario “Fiore mio”

Nel suo documentario “Fiore mio”, il regista non si limita a filmare panorami mozzafiato; egli ci offre un’esperienza immersiva, catturando la varietà di elementi che compongono l’ecosistema alpino. Accompagnato dalla sua inseparabile dog, Laky, Cognetti si avventura in sentieri poco battuti e tra scorci naturali di rara bellezza. La cinematografia sfrutta al massimo la luce naturale, enfatizzando la calma e il silenzio che caratterizzano la vita montana. Attraverso il suo lavoro, l’autore riesce a trasmettere il suo amore viscerale per il Monte Rosa e, al contempo, invita a riflettere sulla vulnerabilità di queste meraviglie naturali.

Dialoghi e scoperta del territorio

Il documentario non è soltanto una celebrazione estetica della montagna, ma si invece svolge in un contesto di dialogo e riflessione. Paolo Cognetti utilizza il linguaggio del cinema per raccogliere esperienze e testimonianze di chi vive e lavora in montagna. Incontri significativi caratterizzano il suo percorso, come le conversazioni con Remigio, un amico locale, che rivela al pubblico l’origine del nome Monte Rosa, non collegata al colore del tramonto, ma a una parola longobarda per “ghiaccio”. Questo aneddoto sottolinea il legame culturale e storico che la comunità ha con l’ambiente montano.

Cognetti spinge il pubblico a riflettere su temi classici attraverso il proprio sguardo di chi vive le Alpi quotidianamente, come alpinisti, guide e anche semplici amanti della natura, contribuendo alla creazione di un tessuto narrativo complesso e ricco di sfumature. A tal proposito, il regista visita l’Orestes Huette, il primo rifugio vegano delle Alpi, per raccogliere le opinioni e i pensieri di chi ha fatto della montagna casa e lavoro, arricchendo ulteriormente il documentario.

La bellezza del silenzio e la dimensione umana

Nel cuore di “Fiore mio”, Cognetti presta particolare attenzione al valore del silenzio e alla condivisione delle esperienze umane. Attraverso un’ampia gamma di personaggi, il documentario diventa un palcoscenico per narratori che rivelano le loro storie personali legate alla montagna. Si viene a conoscenza di alpinisti esperti come Arturo Squinobal, ma anche di figure più informali come Vasco Brondi, amico di lunga data di Cognetti. Quest’ultimo contribuisce con una colonna sonora unica, dimostrando come anche l’arte musicale possa intersecarsi con il paesaggio naturale.

Il film si trasforma così in una forma di introspezione collettiva, un processo confessionale che mette in luce l’importanza di ascoltare la natura per comprenderla meglio. Cognetti invita ogni spettatore a vivere con lentezza, ad assaporare ogni attimo e a cogliere le meraviglie che si celano attorno, proprio come un fiore che sboccia tra le rocce. Non è soltanto un’esperienza visiva, ma un percorso emotivo e riflessivo che invita ciascuno a relazionarsi con il mondo naturale in modo più autentico.

“Fiore mio” non è solo un’opera su scenari montani magnifici, ma una celebrazione della resistenza e della fragilità della natura, esprimendo un richiamo urgente verso la salvaguardia delle meraviglie naturali che rischiamo di perdere.

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