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Paolo Del Debbio: La sua estate di riflessione all’abbazia di Vallombrosa e le radici della fede

Ogni anno, il noto giornalista e conduttore Paolo Del Debbio dedica dieci giorni dell’estate presso l’abbazia di Vallombrosa, un luogo incantevole situato in Toscana. Durante questo periodo di ritiro, Del Debbio si dedica alla scrittura e alla riflessione su temi che toccano la sua vita personale e professionale, in particolare la fede e l’antifascismo. Questi aspetti, che formano il nucleo della sua identità, sono stati recentemente approfonditi in un’intervista rilasciata al Corriere.

I suoi anni nel seminario: tra fede e vita

Paolo Del Debbio ha trascorso due anni nel seminario arcivescovile di Lucca, tra i 16 e i 18 anni, un periodo che lui stesso definisce come “i più belli della sua vita”. In questo ambiente di studio e silenzio, il giovane Del Debbio si sentì attratto dalla possibilità di divenire sacerdote, un’esperienza che rappresentava per lui un’opportunità unica di immergersi in una vita devota. Tuttavia, il dissolversi del suo sogno sacerdotale è avvenuto a causa di sentimenti di amore fisico che hanno iniziato a emergere in quel periodo cruciale della sua crescita.

Paolo Del Debbio: La sua estate di riflessione all’abbazia di Vallombrosa e le radici della fede

Questa conflittualità interna, tra il richiamo alla spiritualità e il desiderio di una vita affettiva piena, ha segnato il corso della vita di Del Debbio, portandolo a riflettere costantemente sul significato della fede. La sua credenza, sebbene sopita, non l’ha mai abbandonato completamente. Del Debbio, infatti, sottolinea la sua ammirazione per chi trova un senso nella vita senza ricorrere a una dimensione trascendente, evidenziando il rispetto per coloro che si dedicano al bene comune e alla giustizia. Tuttavia, per lui, l’idea di un mistero che pervade l’esistenza rimane inevitabile e irrinunciabile.

L’eredità dell’antifascismo: la memoria del padre deportato

Un altro capitolo fondamentale della vita di Paolo Del Debbio è legato all’antifascismo, una causa che ha radici profonde nella sua famiglia e che rappresenta un punto fermo nella sua vita. In un’epoca in cui il fascismo è spesso oggetto di discussione e polemica, Del Debbio afferma con fermezza il suo rifiuto di accettare qualsiasi forma di reverenza o scusante per regimi totalitari. La sua posizione è influenzata dall’esperienza del padre, deportato nel campo di concentramento di Luckenwalde durante la Seconda Guerra Mondiale.

I racconti del padre e della nonna, che aveva collaborato con i partigiani, hanno avuto un impatto profondo su di lui fin dalla sua infanzia. Fin da piccolo, Del Debbio ha appreso le atrocità del regime nazista e ha sviluppato una coscienza storica che lo ha portato a prendere una posizione netta contro il fascismo. La sua testimonianza è drammatica e potente: nel campo di prigionia, il padre ha vissuto una realtà in cui la fame e la sofferenza venivano costantemente esibite con disprezzo, mostrando una forma di disumanizzazione inaccettabile.

Del Debbio mette in luce che la condizione di reificazione degli esseri umani è una questione che non ha perso di attualità. Egli richiama alla memoria che concetti di disumanizzazione e brutalizzazione della vita umana, già teorizzati da Marx, sono stati messi in atto dai nazisti in modo sistematico. Il ricordo del padre, quindi, non è solo una testimonianza personale, ma diventa anche un insegnamento collettivo, un monito per le future generazioni a non dimenticare e a resistere contro l’odio e l’oppressione.

In questo modo, la vita di Del Debbio si configura non solo come un viaggio personale di fede e identità, ma anche come un richiamo all’importanza della memoria e della lotta contro le ingiustizie. La sua esperienza, quindi, si inserisce nel più ampio contesto di una società che deve sempre interrogarsi sul proprio passato per costruire un futuro migliore.

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