Pedro Almodóvar, fra tutti i registi, è sicuramente quello che più ama parlare delle donne e lo fa meglio di tutti. Donne tormentate e irrisolte, sì, ma colme di una calda e forte affettività che, come un fiume che si riversa nel mare, sfocia nella più serena e umana accettazione dell’altro.
Pedro Almodóvar, il regista che dipinge con colori caldi la natura femminile
Tutti i personaggi femminili del regista spagnolo – e non femminili solo in senso classico, bensì tutti coloro che sentono in senso femminile – manifestano una forte componente caratteriale materna, sono donne che hanno sofferto, eppure sul loro volto segnato si legge sempre un sorriso; vanno avanti con una grinta, una forza propria dell’animo femminile, perché, come sembra suggerire Almodóvar, la donna, seppure preda di piccoli e grandi terremoti, non cessa mai di guardare oltre, di proseguire verso il futuro (come Manuela in “Tutto su mia madre”, nuovamente pronta a crescere un figlio) con un malinconico sguardo verso il passato (basti pensare a Raimunda in “Volver”, al suo canto umido di lacrime in una delle scene più potenti dell’intero film).
Le donne di Pedro Almodóvar si fanno carico degli errori commessi dagli uomini, che essi siano amanti, padri, o semplicemente compagni. Con una sorta di materna tolleranza chiudono le relazioni che le hanno consumate, mettendo da parte il dolore, che pure continua ad accompagnarle, per salvaguardare ciò che solo loro sembrano comprendere appieno: la bellezza e l’irripetibilità della vita.
Pedro Almodóvar e una misandrìa malcelata
Si potrebbe pensare che il regista, dichiaratamente omosessuale, celi una sorta di odio – reso, d’altro canto, palese nei film – verso il mondo maschile, costituito perlopiù da individui che abbandonano, stuprano, razziano sentimentalmente, ignorano. Si percepisce una rabbia tangibile quando in “Volver”, vicariamente, Almodovar permette che Irene, madre di Raimunda, una volta scoperto che suo marito aveva abusato sessualmente di quest’ultima, lo uccida dando fuoco al capanno in cui dormiva con l’amante.
Diverso trattamento viene riservato ai transessuali, come nel caso di Lola in “Tutto su mia madre”, all’anagrafe Esteban, che sì seduce e abbandona, ma infine si “redime”, debilitato dall’Hiv, e consapevole di avere due figli: uno morto, e l’altro appena nato. Un uomo che, diventando di fatto donna, acquisisce quella sensibilità che sembra mancare a molti dei personaggi prettamente maschili dipinti da Almodóvar.
Agrado, simbolo di forza
Uno dei personaggi più lirici di Almodóvar è Agrado, prostituta transessuale che racchiude in sé tutta la forza dell’essere femminile, qualità con cui non si nasce, ma si costruisce col tempo, con le esperienze vissute, siano esse piacevoli o traumatiche.
Qui il suo monologo finale, che meglio di tutti spiega cosa significhi passare una vita a recitare una parte soffocando il dolore, per amore della vita stessa:
«Mi chiamano Agrado perché per tutta la vita ho sempre cercato di rendere la vita gradevole agli altri. Oltre che gradevole sono molto autentica. Guardate che corpo… tutto fatto su misura. Occhi a mandorla, 80mila. Naso, 200, buttate nell’immondizia perché l’anno dopo me l’hanno ridotto così con un’altra bastonata. Lo so che mi dà personalità però se lo avessi saputo non me lo toccavo. Continuo. Tette, due, perché non sono mica un mostro, 70 ciascuna, però le ho già super ammortizzate. Silicone… naso, fronte, zigomi, fianchi e culo. Un litro sta sulle 100mila, perciò fate voi il conto perché io l’ho già perso. Limatura della mandibola 75 mila. Depilazione definitiva col laser, perché le donne vengono dalle scimmie quanto l’uomo, 60mila a seduta, dipende da quanta barba una ha, normalmente da 1 a 4 sedute, però se balli il flamenco ce ne vogliono di più, è chiaro. Quello che stavo dicendo è che costa molto essere autentica signora mia… e in questa cosa non bisogna essere tirchie, perché una più è autentica quanto più somiglia all’idea che ha sognato di se stessa».
Donne dunque amate, ma presentate nella loro sofferenza il più delle volte, sofferenza che in fin dei conti – come nella vita reale – è fonte di riscatto e mezzo attraverso cui viene espressa proprio la grandezza e la forza dell’animo femminile.
Nicole Ulisse
25/09/2017