Circa due anni fa (era il 2015) Dori Ghezzi, l’ultima moglie di Fabrizio De André (venuto a mancare a Milano nel 1999), aveva affermato in un’intervista, in merito a un tributo cinematografico al grande artista: “È tutto pronto. Manca solo la cosa più importante: l’attore protagonista. Deve essere italiano e credibile, pur senza essere un sosia”.
Era l’ufficiale annuncio della messa in cantiere del biopic interamente incentrato sul grande cantautore italiano. “Principe libero“, questo il nome del lungometraggio, ha finalmente trovato il suo attore protagonista: l’astro nascente (e consolidato) Luca Marinelli, attore romano che ha saputo dare prova di sé in variegate sceneggiature. Mentre le riprese sono iniziate lunedì 6 marzo in quel di Genova, patria naturale amata/odiata dal cantautore, forse il figlio Cristiano si è un po’ infastidito per non essere stato chiamato in causa.
Principe libero: la regia, il cast, la sceneggiatura e la location dietro la pellicola
Le redini di “Principe libero”, prodotto dalla Bibi Film e trasmesso dalla Rai (sul primo canale), sono affidate al classe 1969 Luca Facchini, il quale ha già avuto a che fare con l’universo deandreiano, essendo stato regista di “A Farewell to Beat“, incentrato sull’ultimo viaggio negli USA di Fernanda Pivano, giornalista, traduttrice e collaboratrice di Fabrizio De André.
Per quel che concerne il cast, oltre al già confermato Marinelli (di nuovo sul grande schermo con “Il padre d’Italia dal 9 marzo e “Slam – Tutto per una ragazza” dal 23), vedremo nei panni di Dori Ghezzi Valentina Bellé, recentemente interprete nel ruolo di Lorenza Tornabuoni nella serie TV britannica “I Medici” (trasmessa su Rai1). Per raccontare l’infanzia e l’adolescenza di De André sono stati scelti due ragazzi genovesi (di cui ancora non sono stati annunciati i nomi), attraverso un casting tenutosi a Villa Bombrini lo scorso febbraio.
La sceneggiatura di “Principe libero” vede la firma di Francesca Serafini e Giordano Meacci, i demiurghi dietro la ‘forte’ pellicola di Claudio Caligari, “Non essere cattivo“, sempre con Luca Marinelli protagonista.
Le riprese saranno attuate in parte a Genova, in particolare nel centro storico, a Bocadasse e nel quartiere di Albaro (si parla di circa tre settimane), spostandosi verso l’entroterra ligure, arrivando poi in Sardegna (altre due settimane). Nell’isola sarda, lo stesso De André nel 1975 aveva acquistato alcuni terreni e aveva subito un sequestro, insieme alla moglie, il 27 agosto 1979. Tenuti prigionieri alle pendici del Monte Lerno, furono liberati il 22 dicembre dello stesso anno, dopo il pagamento del riscatto di circa 550 milioni di lire.
Principe libero: il biopic racconta la vita e la carriera dell’uomo, poeta e artista
La pellicola vuole ripercorrere l’intera esistenza e carriera artistica del celebre cantautore genovese, raccontando gli anni giovanili dell’infanzia e dell’adolescenza nelle campagne astigiane, l’inizio della sua carriera a Genova, l’incontro fatidico con la ‘leggendaria’ Mina, il rapimento da parte dell’Anonima Sequestri Sarda nel 1979 e la prigionia insieme alla moglie Dori Ghezzi, fino ai grandi successi degli anni ’80 e ’90 con gli indimenticabili dischi “Crêuza de mä”, “Le nuvole” e “Anime Salve”.
Non si sa, per il momento, se Luca Marinelli si presterà ad interpretazioni canore. Certo l’emergente attore romano ha già dato prova di sé in “Lo chiamavano Jeeg Robot”, dove, nei panni del terribile “Zingaro”, aveva cantato “Un’emozione da poco” di Anna Oxa e “Non sono una signora” di Loredana Berté.
Il titolo del film ha una genesi in linea con l’arte deandreiana. Un riferimento e un tributo alla citazione del pirata britannico Samuel Bellamy presente sulla seconda di copertina dell’album “Le nuvole” di De André, uscito nel 1990: “Io sono un principe libero e ho altrettanta autorità di fare guerra al mondo intero quanto colui che ha cento navi in mare”.
Principe libero: sulla scia de “Il giovane favoloso”, “La macchinazione” e “Rino Gaetano – Ma il cielo è sempre più blu”
“Principe libero” sembra rappresentare qualcosa di sintomatico: una sorta di meccanismo di ri-appropriazione nei confronti di un determinato patrimonio artistico e letterario, il quale, senza il mezzo cinematografico, con le sue qualità comunicative e ‘ri-scritturanti’, non avrebbe modo di essere annoverato nell’evoluzione del pensiero italiano (e non solo), restando relegato al fenomeno musicale o letterario che sia, slegato dalla società.
Esiste, al contrario, qualcosa che è nell’aria da un po’ di tempo ormai. Certamente sembra che il grande schermo sia l’unico filtro, in Italia, dotato di una certa autorità e autorevolezza presso le vecchie e nuove generazioni, in grado di trasmettere e rinvigorire il comune passato, l’identità (sempre più meravigliosamente frammentaria) e porre le basi per riflessioni future.
Un passo obbligato, nell’epoca digitale, dell’immagine, del video, della velocità e dell’ipertesto, dove sembra caduta nell’oblio la serendipità della fruizione artistica letteraria e musicale. Non c’è tempo da perdere sulle pagine di un Calvino, come nei testi di un Guccini, come tra le note di un album completo di un Rino Gaetano. Sebbene probabilmente Calvino possa avere più chance di essere oggetto di un’indagine cinematografica, piuttosto che grandi musicisti e cantautori. Restrizioni dovute a definizionismi di campi di studio o discipline? Possibile che il cantautorato italiano non rientri nella sfera della produzione artistica nostrana?
Il cinema italiano, ogni tanto, al di là di questioni meramente economiche e di audience, qualche interessante proposta la costruisce. Nel 2007 aveva un nome molto noto e apprezzato dai giovani della kontrokultura, “Rino Gaetano – Ma il cielo è sempre più blu“, con Claudio Santamaria nei panni dell’irriverente e ribelle cantautore calabrese. Nonostante le critiche della sorella Anna, la miniserie televisiva riscontrò un certo successo di pubblico, anche se il ritratto dell’artista, della sua musica e della portata della sua arte fu abbastanza riduttivo. L’uomo (mal ricostruito) e le vicende della sua vita (con tutto l’appeal che suscita sempre il ‘thriller’ pseudo-complottistico circa la sua fine) possono essere forse l’unico tassello dell’arte di Gaetano che il cinema sia in grado di ‘fotografare’ e raccontare? E tutto il substrato culturale che si nasconde dietro un pezzo come “Non te reggae più”?
Diverso l’approccio con quelle porzioni di passato più ‘storicizzate’ e letterarie: è il caso de “Il giovane favoloso” del 2014, nel quale un magnifico Elio Germano da volto e voce al ‘romantico’ Giacomo Leopardi, pietra miliare della letteratura italiana. C’è poco su cui riflettere: si tratta di un biopic su una figura così lontana, ‘statica’ e studiata, sebbene possibile di nuove e differenti interpretazioni, che gli addetti ai lavori della pellicola han solo dovuto sbizzarrirsi nella ricostruzione dell’essere umano dietro la penna e i suoi versi.
Lo stesso discorso per “Pasolini” di Abel Ferrara (2014) con Willem Dafoe, Riccardo Scamarcio e Ninetto Davoli, e “La macchinazione“, il lungometraggio del 2016 con Massimo Ranieri, entrambi incentrati sulla figura ‘scandalistica’ e provocatoria del grande intellettuale e poeta italiano Pier Paolo Pasolini. Mentre il primo progetto ha cercato, nonostante le accese critiche, di entrare più in profondità nell’universo poetico pasoliniano, un abisso di contraddizioni, nostalgia e spunti accessibile solo a pochi, la pellicola con Ranieri ha virato (di nuovo) verso il fattaccio che ha maggiormente caratterizzato la cometa pasoliniana: gli ultimi giorni della sua vita, la relazione con Pino Pelosi e il brutale assassinio all’Idroscalo di Ostia.
Nella differenza (inspiegabile) di campo dell’attività umana, il cinema ha tentato di prendere possesso, riscrivere e trasmettere al pubblico qualcosa: un risultato più evidente con la ‘letteratura’, che con la ‘musica’. La cinematografia internazionale risponde a tono, proponendo biopics molto personalistiche (e utili) su grandi musicisti e cantanti da James Brown a Ray Charles fino al progetto su Michael Jackson, senza troppo indagare il lato cantautorale, quello che più profuma di ‘eversiva’ poesia. Basti ricordare un certo Bob Dylan o un John Lennon.
Principe libero: un altro passo verso il riconoscimento del cantautorato come patrimonio artistico?
“Principe libero” potrebbe porsi come l’occasione ‘italiana’ per un cambio di paradigma nel rapporto con il passato, per quel che concerne il suo studio e la sua ‘trasmissione’ critica. La speranza che la pellicola oltrepassi la dimensione del mero tributo lapidario, andando a scandagliare la vita, la mente e l’arte del grandissimo cantautore genovese, resta viva. Come resta viva quella inerente la possibilità dell’entrata (finalmente) dell’arte cantautorale nel novero della produzione ‘poetica’ italiana, l’acquisizione ritardata e ufficialmente riconosciuta di una dignità letteraria e artistica meritata.
Con tutto quello che ciò possa significare: rinnovata passione di studio per i giovani, a contatto con un linguaggio molto più vicino a loro e non per questo meno fondamentale dal punto di vista letterario e di crescita critica; la modernizzazione dei programmi d’insegnamento liceali e universitari, nel declino dell’inutile ‘storicizzazione’ come necessaria lente d’ingrandimento per approcciarsi al passato; e, chissà, una ventata d’aria fresca e sperimentalistica per tutta l’arte nostrana (e non solo), un piccolo schiaffo di risveglio dal torpore a-creativo che ha nome mercato, profitto, audience.
“Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior“.
Parola di Fabrizio De André.
Alfonso Canale
07/03/2017