Recensione
Ragazzi perduti: gli anni Ottanta distillati
Come il 1981 fu l’anno della rinascita della figura del lupo mannaro, l’anno delle trasformazioni, dei virtuosismi tecnici, degli effetti speciali impazziti, così il 1987 fu, senza dubbio, l’anno al quale l’immagine del vampiro deve la fortuna di cui gode oggi. Non più conti impomatati in mantelli neri, soli in lugubri castelli della Transilvania, ma giovani, forti, energici ragazzi bramosi di una vita che hanno perso nell’immortalità. Sensuali, attaccati al sangue come a un bisogno al contempo alimentare e sessuale, i vampiri degli ultimi quarant’anni hanno subito un ripensamento essenziale rispetto ai loro archetipi anni Trenta.
Una straordinaria retrospettiva alla Cinémathèque Française di Parigi, intitolata appunto “Vampires, de Dracula à Buffy” (9 ottobre 2019 – 19 gennaio 2020; altri tempi…), ci ha restituito una prospettiva sulla storia di un sottogenere che ha informato sin dalle origini la storia dell’horror. Sì, perché se il cinema di zombi è per eccellenza cinema politico (già da prima di Romero la riflessione sullo zombismo come immagine dello schiavismo era chiara, e si pensi in questo senso già agli Halperin, per non parlare ovviamente di Tourneur), il cinema di vampiri è per antonomasia romantico, individuale, raccolto. La storia, vista dal punto di vista di chi perde.
Così, nel 1987, memori delle esperienze pionieristiche di Tom Holland con “Ammazzavampiri” (1985), e ancor prima di Tony Scott con “Miriam si sveglia a mezzanotte” (1983, con lo straordinario David Bowie), due registi si cimentano nella rifondazione radicale di una grammatica: stiamo parlando ovviamente di Kathryn Bigelow, con “Il buio si avvicina” (leggete qui la nostra recensione!), e, ancora prima, di Joel Schumacher, col suo inconfondibile “Ragazzi perduti”.
Peter Pan… oltre lo specchio
I ragazzi perduti sono, ovviamente, gli stessi di Peter Pan, i ragazzi che non cresceranno mai. Se è evidente che nel classico di James Matthew Barrie già si celava una nota di inquietante riflessione sulla morte e sullo smarrimento, Joel Schumacher decise di esplorare il tema in modo esplicito. Ereditando il progetto dal mitico Richard Donner, che aveva però dovuto lasciarlo per dedicarsi ad “Arma Letale” (1987), Schumacher ne stravolse interamente l’impianto: non più un film per e con bambini, ma per adolescenti e giovani adulti, dove i piccoli sono quindicenni alla scoperta di se stessi e i grandi, invece, diciottenni, ventenni intenti a comprendere meglio i propri bisogni, i propri corpi, il proprio posto nel mondo. Quella di “Ragazzi perduti” è anzi tutto la storia di progressivi disvelamenti, dove l’iniziazione al sesso, alla vita, e al contempo al pericolo e alla perdizione vanno di pari passo.
Santa Carla, versione fittizia di Santa Cruz e meno fittizia dell’Isola che non c’è, è in questo senso emblema di una vita carica di promesse, di musica, di balli sulla spiaggia, di notti insonni, di turbamenti… pur restando la “capitale mondiale degli omicidi” (si noti che Santa Cruz era, all’epoca, effettivamente la città col maggior numero di crimini violenti negli Stati Uniti). Se Peter Pan è, volendo, un piccolo horror nascosto in una caramella pasquale, allora “Ragazzi perduti” ne è lo scioglimento in chiave infernale, che fa della creatura fatata una sorta di nuovo James Dean (“Gioventù bruciata”, Nicholas Ray, 1955), e del mondo angelico dell’Isola una fossa violenta e selvaggia, dove lottare per la propria sopravvivenza.
Gli anni Ottanta, in un film
Non c’è forse nessun altro film capace di simboleggiare gli anni Ottanta quanto e come “Ragazzi perduti”. Si ha l’impressione che Schumacher fosse un turista venuto dai nostri tempi, desideroso di collezionare tutto ciò che noi, posteri, associamo a quel decennio e proporlo in una sola pellicola. La colonna sonora, innanzitutto, è un tributo tale al gusto dell’epoca che si potrebbe riconoscervi la singola, principale fonte di ispirazione per i Survive di “Stranger Things” (2016-): da Echo & the Bunnymen alle prese coi Doors, fino all’assolo di Tim Cappello, comprendendo ovviamente lo score originale di Thomas Newman, tutto, in quel film, trasuda nebbia, periferia americana, motociclette, neon, e una gioventù irrequieta desiderosa di rompere con la raccapricciante sobrietà “illuministica” degli anni Settanta per ridare spazio e voce al mistero.
Ma si pensi anche, ovviamente, alle pettinature, alle giacche sgargianti, alle camicie improbabili, oltre all’impareggiato tributo ai “due Corey”, Feldman e Haim, qui in alcuni dei loro ruoli più iconici. D’altronde, se la storia degli “adulti” è quella che forse catalizza maggiormente l’attenzione, è essenziale ricordare che gli anni Ottanta sono soprattutto gli anni dei bambini che diventano grandi, degli Sfigati di Stephen King, soli di fronte a un’America enorme che tende a coincidere col mondo, spaventosa come un clown, ma dolce, dolcissima, e intimamente malinconica.
Sono i bambini a salvare l’universo e se stessi, viaggiando nelle periferie del loro paese come in quelle della propria cognizione: così ne “I Goonies” (Richard Donner, 1985), e così soprattutto in quello che resta uno dei maggiori capolavori del cinema di formazione di tutti i tempi, “Stand by Me – Ricordo di un’estate” (Rob Reiner, 1986). Generazioni di attori, spente sul finire del decennio, o andate scomparendo in esperienze biografiche tragiche: Corey Haim, morto nel 2010 dopo una vita di dipendenze e abusi subiti; e soprattutto River Phoenix, novello Dean, immagine dei secondi anni Cinquanta che, come quelli che li precedettero, finirono per perdere la loro presunta innocenza di fronte alle storture di quel mondo molto nuovo che contribuirono a formare.
Una grande eredità
“Ragazzi perduti” è un horror atipico, più a proprio agio con le forme del racconto di formazione, con le dinamiche giovanili di John Hughes, che con lo spavento in senso forte. Il gore è chiaramente presente, ma sembra sempre piuttosto servire a rendere l’immagine “cool” che a terrorizzare lo spettatore. In questo senso, la cifra stilistica dell’opera è stata filtrata attraverso una grandissima parte del cinema di genere che vi ha fatto seguito. Ci sarebbero i vampiri di Robert Rodriguez (per non parlare dei fratelli Gecko…) in “Dal tramonto all’alba” (1996) se non ci fossero stati i ragazzi perduti di Schumacher? E generazioni di fan di Buffy e Twilight certamente devono ringraziare il 1987, più del 1931. “Ragazzi perduti” è un’opera centrale nel panorama del nuovo horror, e per questo vi invitiamo a riscoprirla, e a goderne ancor oggi come avreste potuto fare in una calda sera d’estate di 34 anni fa…
Lorenzo Maselli
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- Titolo originale: Lost Boys
- Regia: Joel Schumacher
- Cast: Corey Haim, Jason Patric, Corey Feldman, Dianne Wiest, Edward Herrmann, Kiefer Sutherland, Jami Gertz, Barnard Hughes, Jamison Newlander
- Genere: Horror, colore
- Durata: 97 minuti
- Produzione: USA, 1987
“Ragazzi perduti” è un horror diretto da Joel Schumacher nel 1987 e interpretato da Corey Haim, Kiefer Sutherland, Corey Feldman, Jason Patric e Edward Herrmann. Il titolo fa riferimento a “Peter Pan” di J. M. Barrie.
Ragazzi perduti: la trama
I fratelli Emerson (Corey Haim e Jason Patric) si trasferiscono con la madre (Dianne Wiest) a Santa Carla, cittadina della costa californiana dove abita il nonno (Barnard Hughes). La città sembra essere il posto più invitante del mondo per un giovane, ma cela un lato oscuro: omicidi, ragazzi scomparsi, strane attività notturne. Il mistero si infittisce quando Mike, il maggiore dei fratelli, comincia ad avvicinarsi a un gruppo di pericolosi coetanei, capitanato dall’affascinante David (Kiefer Sutherland) e di cui fa parte anche Stella (Jami Gertz). Mentre uno strano triangolo di relazioni si stabilisce tra i tre ragazzi, Sam, il fratello minore, stringe amicizia con i fratelli Ranocchi (Corey Feldman e Jamison Newlander), insieme ai quali cercherà di risolvere l’enigma dei comportamenti sempre più strani di Mike. L’idea dei Ranocchi è semplice, ma troppo assurda per essere creduta… riuscirà Sam a mettere da parte il proprio scetticismo e salvare tutta la sua famiglia da un incomprensibile destino?