Ritorno a Seoul è un film intimo e minimalista, diretto dal franco-cambogiano Davy Chou, al suo secondo lungometraggio come regista.
La trama è ispirata da Golden Slumbers, documentario realizzato nel 2011 dallo stesso Chou, nel quale ha seguito la storia di una sua amica adottata che decide di andare in Corea del Sud per incontrare il padre biologico.
Presentato in selezione ufficiale al Festival di Cannes 2022 nella sezione Un Certain Regard, il film è sbarcato da pochi giorni nelle sale italiane.
Indice
Ritorno a Seoul: tutte le informazioni
Trama
Freddie, venticinque anni, impulsiva e testarda, torna in Corea del Sud per conoscere i genitori biologici che l’hanno abbandonata alla nascita. Adottata e cresciuta a Parigi, percepisce l’irrefrenabile desiderio di ricongiungersi con le proprie origini.
La ragazza si trova immersa in una cultura completamente differente da quella europea cui era abituata e incontrare i genitori si rivela più doloroso e problematico di quanto immaginasse prima della partenza, i luoghi e le persone che non aveva mai avuto modo di vedere la trascinano in un vortice di emozioni e nuove consapevolezze.
Crediti
- Data di uscita: 12 maggio 2023
- Regia: Davy Chou
- Sceneggiatura: Davy Chou
- Genere: Drammatico
- Durata: 119 minuti
- Fotografia: Thomas Favel
- Montaggio: Dounia Sichov
- Produzione: Aurora Films, Vandertastic Films, Frakas Productions
- Distribuzione: I Wonder Pictures, MUBI
- Attori: Ji-Min Park, Oh Kwang-rok, Cho-woo Choi, Guka Han, Kim Sun-young, Yoann Zimmer, Emeline Briffaud
Recensione
Ritorno a Seoul procede lento e silenzioso, grazie ad una regia e un montaggio minimalisti e volutamente inoffensivi, che accompagnano la protagonista in ogni piccolo movimento fisico ed interiore. I colori della sua “nuova” terra, prima freddi e spenti, poi improvvisamente caldi e accesi, poi nuovamente gelidi e inospitali – e via dicendo – non sono altro che la bussola degli stati d’animo di Freddie, impossibili da incasellare, soggetti a costanti e imprevedibili mutamenti.
Il primo impatto con la cultura coreana è per lei più che traumatico: il suo vero padre è contento di ritrovarla, ma anche devastato dall’idea di averla abbandonata e impreparato a farci i conti. Non è più legato alla madre biologica di Freddie, si è costruito una nuova famiglia pronta ad accogliere la ragazza dentro casa. “Puoi restare qui in Corea“, le assicura l’uomo, che però non ha superato i problemi di alcolismo e si rapporta a lei con eccessiva foga.
Freddie, dal canto suo, non riesce a perdonarlo e si vede bloccata dalla inevitabile barriera linguistica ed emotiva, lo biasima per ciò che ha fatto e inoltre lo disprezza per come affronta l’attuale ricongiungimento.
Tuttavia, il richiamo di ciò che avrebbe potuto essere e forse può essere ancora, la spinge a restare in questa nuova, enigmatica dimensione. Laddove tutto è iniziato restando incompiuto, vi è tanto da (ri)vivere e da (ri)scoprire.
La ragazza sceglie dunque di restare in Corea per diversi anni, abbracciando consapevolmente la precarietà lavorativa e sentimentale. Vive sospesa, in equilibrio su un filo (in)stabile che è del tutto scollegato da quello parigino. Dimentica chi era, accettando di non sapere ancora chi è.
Il padre – implorante e non perdonato – e la madre biologica – che invece rifiuta di conoscerla nonostante le numerose richieste – non rappresentano più il motivo per il quale Freddie si accinge a navigare nelle acque agitate e incerte di una terra (ig)nota. La ragazza non vuole limitarsi a sopravvivere in attesa di una riconciliazione col passato, come inizialmente potrebbe sembrare, desidera invece vivere un processo del tutto inedito che possa conferire al presente un nuovo significato.
A dimostrazione di ciò, la pacificazione con il padre e il tanto voluto incontro con la madre rappresentano certo due tappe di fondamentale importanza, ma non deviano il suo viaggio interiore, non interferiscono in alcun modo con la sua ricerca di casa.
Trovare casa, secondo questa prospettiva, non equivale a rifugiarsi in ciò che già conosciamo o che abbiamo sempre desiderato conoscere, bensì a partire per tornare dove non siamo mai stati. Perché, in fondo, quei luoghi a prima vista lontani e sconosciuti ci appartengono da sempre, non dobbiamo fare altro che tornarci e scoprirli (di nuovo).
Conclusioni
Davy Chou scrive e dirige un’opera delicata e intima, che coinvolge ed emoziona tramite una semplicità disarmante, senza ricorrere ad eccessi drammatici o enfatizzazioni. Il ritmo è controllato e mai incalzante, eppure magnetico e immersivo, avvolgente nel seguire le (dis)avventure dell’assoluta protagonista Ji-Min Park, la quale presta anima e corpo al proprio personaggio, riuscendo a comunicare emozioni intense e stratificate attraverso un’interpretazione volutamente ermetica.
Quello che è in apparenza un semplice viaggio di ritorno alle proprie origini, nasconde dietro la sua formale inaccessibilità un significato decisamente più complesso, che identifica la sensazione di trovarsi a casa con la (ri)scoperta di luoghi distanti e (s)conosciuti.