Rosa Balestrieri, conosciuta come la “cantautrice del sud”, è una figura emblematica della canzone popolare siciliana. Il suo percorso artistico e umano viene ora raccontato nel film di finzione “L’amore che ho“, che segue il documentario “Dopo Rosa. Il canto delle sirene“, diretto da Isabella Ragonese. Attraverso questo lungometraggio, si esplora la vita di Balestrieri, confrontando le sue battaglie con le esperienze di tanti emarginati. La pellicola, presentata al Torino Film Festival, mette in luce il contributo di Balestrieri alla musica italiana e la sua continua lotta personale.
Un film che attraversa le epoche
“L’amore che ho”, secondo lungometraggio di Paolo Licata, si inserisce in un contesto storico ricco di significato. Adattato dal libro “L’amuri ca v’haiu” di Luca Torregrossa, il film ci fa viaggiare attraverso le diverse fasi della vita di Rosa. Si apre con una scena ambientata a Palermo nel 1990, dove la cantautrice sembra essere stata dimenticata dal pubblico. La nostalgia di un passato di successo è palpabile mentre Rosa si esibisce di fronte a pochi spettatori, invocando la memoria di un’epoca in cui le sue canzoni riempivano le piazze e le sale.
Il racconto trova immediatamente un contrappunto con le sue origini, portando lo spettatore nell’infanzia e nell’adolescenza di Rosa. La povertà e il dolore si intersecano con la sua crescita: siamo testimoni di eventi di vita traumatica, come fame e violenza domestica, fino ad arrivare al matrimonio forzato. In questo quadro complesso, emerge la musica come una delle poche vie di fuga e di espressione per Rosa, che si trova a dover bilanciare la sua carriera con le relazioni familiari, in particolare con la figlia Angela, le cui fratture rimarranno aperte lungo tutta la vita.
Rappresentazione e intensità
Il film dà voce a Rosa Balestrieri attraverso tre attrici che la interpretano in diverse fasi della sua vita: Anita Pomario, Donatella Finocchiaro e Lucia Sardo. Queste interpreti, pur avendo volti e fasi di vita differenti, riescono a restituire un’intensità e una dignità uniche, rappresentando lo spirito ribelle di Balestrieri nel contesto complesso e mutevole della società italiana dagli anni Sessanta fino alla fine degli Ottanta.
Uno degli aspetti più affascinanti del film è l’intreccio tra vita personale e carriera musicale, evidenziando la difficile strada percorsa da Rosa per riconciliare il suo amore per l’arte con le norme sociali e familiari dell’epoca. L’amore e la musica sono dipinti come due facce della stessa medaglia, essenziali per comprendere l’esistenza di una donna che ha affrontato le ingiustizie sociali e le dinamiche di un contesto spesso oppressivo.
Un simbolo di lotta e resilienza
“L’amore che ho” di Paolo Licata non è solo un omaggio a Rosa Balestrieri, ma anche un’analisi sociale del contesto in cui ha vissuto. Racconta con lucidità le violenze e le oppressioni subite dalle donne, un tema che rimane tristemente attuale. La vicenda di Rosa diventa un simbolo di lotta e resistenza non solo per il suo contesto, ma per tutte le donne che, come lei, si sono battute contro le difficoltà della vita.
Sebbene la regia di Licata sia caratterizzata da un approccio visivamente ricco e curato, alcuni critici notano una certa tendenza a enfatizzare le emozioni. Tuttavia, ciò non toglie nulla all’impatto emotivo e alla profondità della storia. La ricchezza del film è accentuata dalla colonna sonora, con musiche curate da Carmen Consoli, la quale ha anche un breve cameo nella pellicola. La musica, quindi, diventa il filo conduttore di un racconto che abbraccia le esperienze di miseria e celebrità di Rosa Balestrieri.
“L’amore che ho” non è soltanto un film su una cantautrice, ma un potente racconto di resilienza davanti alle avversità, che invita a riflettere sul valore del canto e della narrazione come strumenti di lotta e speranza.