Scomparsa – Recensione: un intreccio di storie e un mistero da risolvere
“Scomparsa”, produzione RaiFiction e EndemolShine, è una serie TV trasmessa da Rai 1 a partire dal 20 Novembre 2017. La storia segue le vicende di Nora Telese, interpretata da Vanessa Incontrada, una neuropsichiatra infantile trasferitasi con la figlia sedicenne Camilla da Milano a San Benedetto del Tronto: le due hanno un rapporto molto stretto, basato sulla fiducia e l’onestà; o almeno è quel che crede Nora. Un giorno, infatti, la figlia non rientra da una festa: lei e l’amica Sonia sono scomparse, irrintracciabili. La borsa di Camilla viene ritrovata in un campo, i telefoni squillano a vuoto e nessuno sembra sapere che fine abbiano fatto le due ragazze.
In una corsa contro il tempo, aiutata dalle testimonianze della comunità e dal vice questore aggiunto di Polizia Giovanni Nemi, Nora dovrà riuscire a ritrovare la figlia, mentre le indagini ricostruiscono il puzzle di una storia sconcertante, che nasconde segreti e relazioni clandestine celate sotto la facciata tranquilla della vita di provincia a San Benedetto del Tronto.
Nelle prime due puntate di “Scomparsa” si delinea già una storia quanto meno intricata: la giovane Camilla, una ragazza all’apparenza dolce e affidabile, scompare di punto in bianco senza lasciare traccia e in sua assenza, la madre Nora fa delle scoperte su chi sia davvero la figlia e cosa realmente faccia, al di là di quanto le racconta. Nel frattempo, al filone narrativo principale, si intrecciano altre storie degli abitanti di San Benedetto del Tronto, che si legano alla vicenda della scomparsa di Camilla. La narrazione, nei primi episodi, si regge in equilibrio tra due possibili verità: la sparizione intenzionale delle due ragazze e il possibile coinvolgimento di terzi, piste alimentate da indizi scovati durante le indagini che avvalorano ora l’una, ora l’altra ipotesi.
Scomparsa: un castello di clichè accettabili
I personaggi da tenere a mente in “Scomparsa” sono molti, così come le trame che ne derivano: tuttavia, trattandosi di una serie TV, composta da 12 episodi da circa 50 minuti l’uno, c’è tutto il tempo per familiarizzare con i vari tasselli della storia, aiutati (o forse, invece, depistati) da sguardi, oggetti significativi (o forse no?) che vengono sottolineati dalla macchina da presa. L’impressione che si ha è che tutti sappiano più di quanto non dicano, una strategia che sicuramente contribuisce ad aumentare la curiosità dello spettatore e cerca di coinvolgerlo nella vicenda, spingendolo a creare proprie teorie sull’accaduto. Tuttavia tutto questo intreccio appare, in certi casi, un pò forzato e non tutte le sottotrame sembrano, di primo acchito, particolarmente convincenti ai fini della storia; ma siamo solo agli inizi, quindi nulla è detto.
La serie, inoltre, naviga l’onda di alcuni clichè: a parte quelli tecnici (non mancano zoom a scatti, immagini oblique e musiche tragiche a sottolineare i momenti di maggior tensione o significato… però sono modus operandi accettati e condivisi sebbene un filo banali, che di certo aiutano lo svolgimento del thriller), ci sono quelli narrativi, che parlano di adolescenti che sotto l’aspetto da bravi ragazzi celano delle verità inconfessabili, che si drogano, che bevono.. insomma, vengono presentate varie sfaccettature della classica figura dell’adolescente problematico, ma ça va sans dire, la vita è fatta anche di clichè e l’adolescenza, sebbene venga spesso estremizzata negli esempi della narrazione, è senza ombra di dubbio un periodo oscuro e problematico che tutti paventano, difficile da attraversare sia per gli stessi adolescenti sia per gli adulti, che certe volte sembrano dimenticare che cosa avevano provato a loro tempo; perciò, nel complesso, si può accettare anche lo stereotipo dei ragazzi problematici proposto da “Scomparsa” perchè, alla fine, rappresentano uno spaccato di verità.
Non sarà forse la miglior serie TV nostrana mai vista, ma, nonostante i difetti, “Scomparsa” riesce a far dire allo spettatore “cosa sarà successo davvero?”, il che, alla fine, è il motore che spinge a proseguire la visione.
Giada Aversa